3830 recensioni a vostra disposizione!
   

FESTIVAL DI CANNES 2013 (2)
  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 maggio 2013
 
Coen, Soderbergh, Ozon, Kore - Eda, Farhadi, Jia Zhang-ke (2013)
 
A TRE GIORNI DAL TERMINE, DUE CAPOLAVORI E MOLTE PROVE DI FIDUCIA

I grossi calibri che Cannes ha sfoderato in modo sfrontato quest'anno non hanno deluso. E' l'abbozzo di bilancio da azzardare a tre giorni dalla fine del Festival 2013, quando ancora si attendono per la solitamene privilegiata volata finale bocche da fuoco come quelle di James Gray, Jim Jarmusch, Alexander Payne, Roman Polanski. Deludere, a qualcuno è pure successo: Luhrmann, Sorrentino, Sofia Coppola, Refn, Mahamat-Saleh Haroun hanno compiuto un passo indietro a quanto avevano fatto in passato. Proprio quando il segno di Cannes 2013 sembra essere stato la ripresa generale di coraggio, in piena crisi di mezzi e di certezze, nei confronti di un tirarsi i remi in barca per la prudenza, in atto da alcuni anni. Ma quando si sono visti i fratelli Coen innovare in una sorta di arguta, affettuosa ironia per tutti i looser in Inside Llewin Davis, Steven Soderbergh riuscire l'azzardo di commuovere con un immenso Michael Douglas illustrando il clamoroso kitsch omosessuale di Ma vie avec Liberace, François Ozon in Jeune et jolie uscire con eleganza dal pantano della brava studentessa che va a marchette all'insaputa dei genitori, Hirokazu Kore-Eda tralasciare i suoi sopraffini itinerari metafisici per avvicinare con esemplare semplicità la normalità della famiglia, non si può negare allo strabordante supermercato della Croisette  magari più di pizza che fois gras  di aver ridato fiducia al traballante carrozzone cinema.

Per chi non rinuncia ai profumi delle Palme, ecco però due film ai quali sarà difficile negare l'attributo di capolavoro. Nell'arco di pochi film l'iraniano Ashgar Farhadi è diventato uno dei più grandi cineasti in circolazione. Per la prima volta ha girato all'estero, in Francia, rinunciando al richiamo dell'esotismo, affinando il proprio potere antropologico. Forse nessun cineasta al mondo possiede la chiave per penetrare i segreti dell'animo umano come l'autore di Una separazione. Nessuno costruisce sceneggiature equivalenti in lucidità e penetrazione, analisi e comprensione, partecipazione umana e leggerezza. Pochi le traducono in seguito in una condivisione assolutamente magistrale con gli attori. Nodi di relazioni, banali, probabili e al tempo stesso potenzialmente esplosivi, che Farai indaga nell'intimo più profondo dei personaggi: non tanto per spiegarli, per farne della psicologia spicciola, ma per sondarne le contraddizioni rivelatrici che si nascondono dietro l'apparenza dei loro comportamenti. Sono le ombre di un indelebile trascorso che danno il titolo a Il passato. I sensi di colpa , le frustrazioni, le gelosie: quelle che il protagonista, apparentemente il solo a mantenere la lucidità dello sguardo in quanto portatore di uno sguardo esterno ( lo splendido Ali Mosaffa che Farhadi si è portato con sé dall'Iran) si sforza possano mutare in assunzione delle proprie responsabilità. Negli adulti, come nei bambini, resi nel film con meravigliosa verità questa esigenza è lungi da risolvere frettolosamente le cose : tanto che, è proprio quella faticosa esigenza dell'essere giusto, di richiamarsi finalmente al vero, che arrischia di condurre a malintesi successivi. Tutti hanno le loro ragioni, ma quant'è difficile decidere chi abbia torto.

I temi sono invece quelli di sempre, ma è il modo di esprimerli ad evolvere; segno del cineasta che si fa sempre più grande. Attraverso le svolte di un cammino determinato e spesso, perlomeno fino al 2005, censurato (da Platform, a Still Life o 24 City)) Jia Zhang-ke ha sempre parlato della Cina e dei suoi problemi, del precipitarsi dei cambiamenti sociali, economici e quindi morali. Di una migrazione vana quale soluzione alla perenne situazione di sfruttamento dell'individuo, all'abisso che si andava creando fra i più ricchi e i sempre egualmente poveri. Spesso a metà tra documento e finzione il suo è sempre stato sempre uno spaccato immediato, forte perché al tempo stesso reale e poetico, della condizione dell'uomo in Cina.

Ora, filmate in modo favoloso dal grande Yu Lik-wai, le quattro storie che s'intrecciano in A TOUCH OF SIN rappresentano però un ulteriore passo innanzi. Un microcosmo che fa ancora parte di una riflessione sulla devastazione morale di chi gli stava attorno, confrontato al degenerato liberismo economico. Ma in A Touch of Sin anche il mite Jia Zhangke sembra ormai concentrarsi sull'istante nel quale l'esasperazione dei suoi quattro protagonisti si trasforma in rivolta e violenza, con degli scopi di violenza all'interno della sua sontuosa contemplazione da destare invia allo specialista del genere Kitano. Senza rinunciare alla propria maestria nel dettare i ritmi, nello sfidare il grottesco, nell'organizzare la sua visione umanistica in un'armonia spaziale e cromatica che ha acquistato ancora maggiore incanto; ma con un'indignazione politica che finisce per amplificarla a dismisura.

Per informazioni o commenti: info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch

Elenco in ordine


Ricerca






capolavoro


da vedere assolutamente


da vedere


da vedere eventualmente


da evitare

© Copyright Fabio Fumagalli 2024 
P NON DEFINITO  Modifica la scheda