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ARMA LETALE 3
(LETHAL WEAPON 3)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 novembre 1992
 
di Richard Donner, con Mel Gibson, Danny Glover, Rene Russo, Joe Pesci (Stati Uniti, 1992)
 
"Intervistato da Newsweek nel l972, Stanley Kubrick diceva: "Ognuno di noi, che lo voglia o meno, é in parte affascinato dalla violenza. L'uomo, dopo tutto, è il killer meno provvisto di rimorsi che abbia vissuto sulla terra. E quella fascinazione dimostra che siamo assai poco dissimili dai nostri antenati più remoti".

Sono considerazioni, quelle dell'autore di FULL METAL JACKET e di SHINING un po' meno approssimative delle conclusioni di no so più qual gruppo di esperti che ha deciso di rendere il cinema responsabile di cattivo esempio. Quel cattivo esempio che fomenterebbe la scalata di violenza alla quale stiamo assistendo. In un articolo apparso sul Corriere della Sera Tullio Kezich ha già espresso le proprie perplessità su quella che definirei l'arte di fare di ogni erba il solito fascio. E ridicolizzato una lista di pellicole che comprendeva anche delle opere di alto contenuto artistico ed umano; oppure altre - come SORGO ROSSO del cinese Zhang Yimou - così vicine agli umori sociali e culturali della propria gente.

Il fatto è che c'è violenza e violenza. O meglio: ci sono svariati modi di mostrare, utilizzare, eventualmente strumentalizzare la violenza. Il primo è quello dei Fuller, dei Kubrick, Scorsese o dei Lynch, per non citarne che pochi: e consiste nel farne oggetto intelligente di manipolazione.

"Non è la guerra ad essere uno stato anormale, diceva Francis Coppola in APOCALYPSE NOW: è il modo come noi viviamo di solito che ci conduce alla crisi morale". La descrizione giustificabile della violenza al cinema (e non solo al cinema) è quella che porta ad un'analisi di quel cammino. Di quell'itinerario che ci porta da uno stato di apparente normalità, da una quotidianità nella quale sono presenti tutti quei germi - allo stato latente, oppure semplicemente occultati dalle varie degenerazioni del nostro modo di vivere - che poi si svilupperanno selvaggiamente in quelle situazioni di crisi che noi definiremo straordinarie. E quindi. a torto, ritenute ovviabili.

La violenza non giustificabile (una volta ancora: al cinema e non soltanto al cinema) è invece quella di questo ARMA LETALE 3. È quella ludica, perversamente gratuita, e imbecillemente noncurante: è quella che conduce a minimizzare l'atto violento, a decorarlo degli orpelli del divertimento, della cosiddetta evasione (da cosa poi, da un altro genere di violenza?) verso un'assuefazione sulla cui salutarietà si potrebbe discutere a lungo.

Il balletto di pistolettate ed autoscontri del film di Richard Donner non è nemmeno brillante: si è visto molto di meglio anche in più modesti telefilm di questa serie a suo modo reputata. La gratuità dell'atto, la rappresentazione feticista degli oggetti (qui un mitra a canna mozza che mi dicono chiamarsi Uzi) non riesce mai a sfiorare una dimensione non diciamo nemmeno astratta, ma magari semplicemente seconda.

E gli attori, poveracci, non possono che adeguarsi: se Danny Glover (il poliziotto nero ai limiti del pensionamento) si ritrova un personaggio dallo spessore che supera quello del cretinismo, Mel Gibson, con una chioma da culturista appena uscito dal barbiere insegue a piedi, e sparacchiando contemporaneamente, qualche cattivo in fuga nientedimeno che su di una locomotiva in corsa."


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