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L'INNOCENTE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 novembre 1976
 
di Luchino Visconti, con Giancarlo Giannini, Laura Antonelli, Rina Morelli, Jennifer O'Neill, Massimo Girotti, Didier Haudepin (Italia, 1976)
La parabola si è compiuta: dai temi più opposti a quelli dell'ideologia fascista di OSSESSIONE e LA TERRA TREMA, dagli entusiasmi del primo neorealismo italiano, dallo spirito di Verga o di Gramsci, al cantore ufficiale del regime, all'estetica della borghesia e della decadenza. Comprendere L'INNOCENTE è afferrare l'evoluzione, artisticamente e moralmente ineccepibile, di tutta la carriera di Visconti. Di un uomo cioè, che, nutrito di una cultura aristocratica e decadente, ha fatto sue le idee marxiste. Di un'arte che è vissuta e si è sviluppata proprio sulla traccia di quella drammatica contraddizione.

L'universo chiuso, soffocante di L'INNOCENTE è la conclusione logica del lascito viscontiano. Dall'entusiasmo incondizionato delle opere giovanili, intrise di fervore rivoluzionario, si passa ai capolavori del periodo di transizione: SENSO, ROCCO, IL GATTOPARDO s'impregnano vieppiù del culto della bellezza, dell'eco del melodramma. Ma, come folate di vento fresco, irrompono ancora nelle strutture aristocratiche l'euforia delle nuove generazioni, l'epoca nuova che si avvicina (tipica, nel GATTOPARDO, la sequenza con Delon e la Cardinale che si rincorrono amorosi fra le soffitte, ricoperte di vecchi dipinti di famiglia ammuffitti).

Con LA CADUTA DEGLI DEI, MORTE A VENEZIA, LUDIVIG, GRUPPO DI FAMIGLIA il cerchio si chiude. E' la fine delle illusioni: l'artista si ripiega su sé stesso, sulla bellezza decadente della propria cultura, sullo scoramento dell'individuo che vede fuggire la gioventù, la fede di un'arte redentrice e rinnovatrice. L'arte di Visconti brilla come sempre, ma il soffio che la detta non è certamente più quello degli inizi: l'emozione, la commozione che suscita il messaggio di Visconti sta anche in questo doloroso e lucido mutamento.

Anche se tradito da un racconto che forse non voleva girare (era "Il Piacere" che il regista desiderava mettere in scena), da interpreti che sembrano sfuggire dalle mani di colui che è stato uno dei grandi direttori d'attori del cinema L'INNOCENTE sigilla comunque tutta la carriera di Visconti. L'arte di usare l'ambiente a fini psicologici (una delle peculiarità eccelse del cinema) gli permette si significare il racconto: gli addobbi stracarichi, l'opulenza decadente degli sfondi non solo vanno ad indicare la putrefazione, la vanità, la fine di una società e di una mentalità. Ma grazie al legame cromatico che esiste continuamente fra i costumi degli attori e gli sfondi, i primi finiscono per essere letteralmente inghiottiti dall'ambiente: prigionieri di un mondo ormai evoluto e corrotto, chiusi in una campana di vetro entro la quale non giunge il suono di una vita esteriore, il gesto di rivolta di un servo, la parlata istintiva di un popolano.


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