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WAR HORSE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 febbraio 2012
 
di Steven Spielberg, con Jeremy Irvine, Emily Watson, Peter Mullan, Niels Arestrup (Stati Uniti, 2011)
 
Steven Spielberg, perlomeno lo Spielberg dell'avanzata maturità è capace del meglio come del peggio. WAR HORSE è allora una favola, da prendere o lasciare, di quelle che tanto piacciono al cinema americano, "per bambini a partire da 8 anni”, come afferma il regista. Se non fosse che la fiaba ha per protagonisti un cavallo e la sua amicizia per un contadinello inglese; ma il soggetto è tutto l'orrore della Prima Guerra Mondiale.

Sarà per questo che nella nella sua interminabile, a tratti insopportabile prima parte occorreva ripiombare nei vezzi di un cinema hollywoodiano edulcorato e cartolinoso (nella forma, e quindi nei sentimenti) clamorosamente vieux jeu? Di un'estetica trascorsa, nei tramonti stinti e le oche starnazzanti, i vecchi bonaccioni con la pinta di birra e gli usurai spietati dallo sguardo torvo, i raccolti andati in malora per la natura crudele ma il profilo nobile del destriero esaltato dal riflettore nell'umiltà della stalla, le gestualità melodrammatiche moltiplicate dal trionfalismo sviolinante del sinfonismo nonstop di John Williams?

Manufatto sapiente, certo. Spielberg sa esattamente dove tagliare l'immagine e collocare la luce. Recupero di gloriosi stilemi, alla John Ford, come dicono alcuni? Mah, forse quando va sul postmoderno, come in quel finale arancione smisurato del ritorno a casa finale.

Prima, fortunatamente, si fa per dire, c'era però stata la guerra. D'improvviso, il taglio espressivo, e quindi il tono del film, erano cambiati radicalmente. Miracolo operato dalla qualità di uno sguardo, di un umanesimo che sappiamo da tempo essere sincero: con la visione infine stringata, i significati astratti, trascendenti. L'avanzata esaltante, la prima di tante insensate: la cavalleria come la fanteria, sempre in avanti, contro le mitragliatrici schierate, pronta a lacerarsi nel labirinto dei fili spinati. Nei suoi momenti migliori (certo, non la ricaduta nell'episodio melenso con le marmellate di Niels Arestrup...), ecco il realismo spietato che sa farsi delirio fantastico, l'impulso cinetico (non a caso definito ormai spielberghiano dai tempi di DUEL), la generosità epica del destriero finalmente non più disneyano, non piu facilmente antropomorfo, che sorvola folle e meraviglioso trincee e baionette, amici e nemici, trasformando finalmente tutto quel kitsch in esaltato lirismo.

E' Indiana Jones, l'incontenibile, umanistica fuga in avanti dei protagonisti, esseri umani, animali o meccanici che siano: condizionati da un inarrestabile destino ormai solo dinamico, itinerario di una violenza che si fa mortale. Assieme al cavallo di WAR HORSE che galoppa ormai solo, pura traiettoria estetica, finalmente morale.


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