LOCARNO FILM FESTIVAL
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Come prendere sul serio un film che ti mostra una Julia Roberts da 30 milioni di dollari a film, per di più accessoriata da minigonna, camicetta trasparente, scollatura lampo livello ombelico che non riesce a rimediare uno straccio d'impiego? Lasciando perdere le apparenze. Perché per apprezzare ERIN BROCKOVICH, l'ultimo film di Steven Soderbergh reduce dal convincente OUT OF SIGHT e, soprattutto del bellissimo, sottovalutato L'INGLESE, occorre non considerarlo per ciò che potrebbe, o se preferite "dovrebbe" essere: un film nella tradizione di denuncia sociale del cinema americano (la solita multinazionale che avvelena l'acqua del sottosuolo; provocando malattie irreversibili alla popolazione, ovviamente non proprio da quartieri alti che abita nei dintorni). Oltre che un film sulla pretty woman che sapete. Allora, ma soltanto a quella condizione, ERIN BROCKOVICH rivelerà le qualità dello sguardo di uno dei cineasti che contano; e la prestazione di un'attrice che riesce a sollevarsi dalla pur gradevole dimensione cerbiatta a quella, assai più rischiosa di un ruolo dai significati mutevoli e approfonditi. Allora, e soltanto allora si riuscirà a chiudere un occhio sull'alternativa un po' lagnosa donna in carriera o in famiglia; che si trascina nei tempi da commedia brillante relativamente spassosa e non proprio alla Lubitsch. Per profittare dell'intensità di certi primi piani, di un modo delicato e profondo di sospendere il tempo, di provocare allegramente con un dialogo impertinente. Di frugare in quell'America fatta di periferie e paesaggi sporchi; quella che a Hollywood, anche a quella del sociale, normalmente non interessa più di tanto.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------How can you take seriously a movie that shows you a $30 million-a-movie Julia Roberts, accessorized to boot with a miniskirt, see-through blouse, navel-level plunging cleavage that can't get a shred of employment? Never mind appearances. Because in order to appreciate ERIN BROCKOVICH, Steven Soderbergh's latest film fresh off the convincing OUT OF SIGHT and, especially of the beautiful, underrated THE ENGLISH, one has to disregard it for what it could, or if you prefer "should" be: a film in the tradition of social denunciation in American cinema (the usual multinational corporation poisoning the groundwater; causing irreversible diseases to the obviously not-quite uptown population living nearby). As well as a movie about the pretty woman you know. Then, but only on that condition, will ERIN BROCKOVICH reveal the qualities of the gaze of one of the filmmakers who matters; and the performance of an actress who manages to lift herself from the albeit pleasing fawning dimension to the far more risky one of a role with changing and deepening meanings. Then, and only then, will one be able to turn a blind eye to the somewhat whiny career/family woman alternative; which drags in the relatively hilarious, not quite Lubitsch-esque brilliant comedy tempos. To profit from the intensity of certain close-ups, of a delicate and profound way of suspending time, of cheerfully provoking with sassy dialogue. To rummage through that America made up of suburbs and dirty landscapes; the one that Hollywood, even the social one, normally doesn't care much about.
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