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PERFECT DAYS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 gennaio 2024
 
di Wim Wenders, con Kôji Yakusho, Tokio Emoto, Arisa Nakano, Aoi Yamada (Giappone, 2023)

Disponibile in streaming/VOD

 

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 E' un fatto che, negli ultimi anni, a Wim Wenders i documentari venivano decisamente meglio delle opere di pura finzione. Ma è pur vero ciò che dicevamo a proposito di PINA,  di quanto fosse più di un semplice documentario alla memoria della grande Pina Bausch e del suo Tanztheater. Una fusione, fra una delle più grandi coreografe della storia e un maestro indubbio del cinema moderno. In equilibrio magicamente instabile. Fra un'arte essenzialmente concreta, legata al corpo, come la danza. E una rappresentazione dagli imprevedibili rinvii, evanescente ed astratta, come può diventare quella cinematografica.

Dieci anni dopo, ecco PERFECT DAYS. Un film raro, emozionante più che commosso, al tempo stesso infinitamente rallegrante. Semplice e, quasi non si osa affermarlo, follemente poetico. Immerso com'è nel tumulto quotidiano ma miracolosamente rispettoso della Tokyo quotidianamente percorsa dal  cinquantenne Hirayama, l'incaricato della pulizia dei bagni pubblici.

Ancora dieci anni fa, a proposito di IL SALE DELLA TERRA, rendevamo attenti di quanto le immagini del brasiliano Salgado, uno fra i più grandi fotografi viventi, si sommavano allo sguardo dall’autore di IL CIELO SOPRA BERLINO, da tempo rifugiatosi in documentari, certo creativi. Ma oggi, PERFECT DAYS non è più "soltanto" un documentario. Generoso, visionario, talvolta trascinato dal proprio entusiasmo ai confini dell’enfasi e dei riferimenti ai miti culturali, l'universo di Wim Wenders riesce a lasciare libero corso all’altro aspetto della propria poetica. Alla golosità degli sfondi da scavare - materiali o umani che siano - .al distacco colto, raffinato e referenziale, tipico del suo primo cinema. Sempre a favore dell'intimità più semplice e diretta, di un rapporto con l’ambiente che, dopo PERFECT DAYS,, ci conducono a delle riflessioni che si proiettano ben oltre il documento.

PERFECT DAYS rappresenta il secondo incontro di Wenders con la metropoli giapponese dopo TOKIO-GA (1985), ma sempre nel segno di un riferimento imprescindibile al cinema cosi forte di Yasujiro Ozu. Al genio del cineasta giapponese non sarebbe dispiaciuto infatti un uomo modesto ma portatore di una dimensione umana delicata e assoluta come quella di  Hirayama,. Koji Yakusho la traduce sullo schermo con una impercettibile, ma indimenticabile adeguatezza. Prima di farci partecipi alla contemplazione,  il cinema così delicato ma profondo di questo nuovo Wenders quasi ottantenne ci conduce allora in quasi taciturna delicatezza lungo le ventiquattr'ore del  laborioso protagonista.

Ci sono i magnifici silenzi, quanto significativi, di Hirayama in PERFECT DAYS. Ma pure i suoi sogni, la  malinconia, ma egualmente l'umorismo del proprio senso della relatività. E ancora le sue cassette, con la musica degli anni Sessanta, Patti Smith e Otis Redding, i Kinks, Nina Simone e, naturalmente Lou Reed. Hirayama compie cosi la tranquilla prodezza di cogliere i segni minuti, quelli che accadono dietro le nuvole. Ma è Wim Wenders a compiere il prodigio di renderci partecipi di tanta meraviglia.

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It is a fact that, in recent years, Wim Wenders was far better at documentaries than works of pure fiction. But it is also true what we said about PINA, how it was more than just a documentary in memory of the great Pina Bausch and her Tanztheater. A fusion between one of the greatest choreographers in history and an undoubted master of modern cinema. In a magically unstable balance. Between an essentially concrete art, linked to the body, such as dance. And a representation with unpredictable references, evanescent and abstract, as cinema can become.

Ten years later, here is PERFECT DAYS. A rare film, exciting rather than moving, at the same time infinitely cheering. Simple and, one almost dare not say it, madly poetic. Immersed as it is in the daily tumult, but miraculously respectful of the Tokyo daily traversed by the 50-year-old Hirayama, the man in charge of cleaning the public toilets.

Ten years ago, in the context of THE SALE OF THE EARTH, we were still paying attention to how the images of the Brazilian Salgado, one of the greatest living photographers, added up to the gaze of the author of THE SKY ABOVE BERLIN, who had long since taken refuge in admittedly creative documentaries. But today, PERFECT DAYS is no longer 'just' a documentary. Generous, visionary, sometimes dragged by its own enthusiasm to the borders of emphasis and references to cultural myths, Wim Wenders' universe manages to give free rein to the other aspect of his poetics. To the gluttony of the backgrounds to be excavated - whether material or human - .to the cultured, refined and referential detachment typical of his early cinema. Always in favour of the simplest and most direct intimacy, of a relationship with the environment that, after PERFECT DAYS, leads us to reflections that project well beyond the document.

PERFECT DAYS represents Wenders' second encounter with the Japanese metropolis after TOKIO-GA (1985), but always in the sign of an inescapable reference to the cinema so strong of Yasujiro Ozu. In fact, the visionary genius of the great Japanese filmmaker would not have minded a man as modest but bearer of a delicate and absolute human dimension as Hirayama,. Koji Yakusho translates it onto the screen with an imperceptible, unforgettable adequacy. Before making us share in the contemplation, the delicate yet profound cinema of this new, almost 80-year-old Wenders accompanies us then in an almost taciturn delicacy along the twenty-four hours of the hard-working protagonist.

There are the magnificent silences, so significant, of Hirayama in PERFECT DAYS. But equally his dreams, his barely suggested melancholy, as well as the veiled humour of his own sense of relativity.

And his cassettes, with the music of the 1960s, Patti Smith and Otis Redding, the Kinks, Nina Simone and, of course, Lou Reed. Hirayama thus accomplishes the quiet feat, that of capturing the minute signs, those that happen behind the clouds. But it is Wim Wenders who performs the prodigy of making us share in such wonder.

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