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KILLERS OF THE FLOWER MOON Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 novembre 2023
 
di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Lily Gladstone, Jesse Plemons, Robert De Niro, Brendan Fraser (NETFLIX) (Stati Uniti, 2023)

Disponibile in streaming/VOD

 

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Il cinema, come altre faccende che ruotano attorno, è in crisi. Eppure, da un film firmato da uno dei suoi più grandi esponenti, condizionato nella proiezione in sala da una durata di quasi tre ore e mezza in epoca di dilaganti serie televisive, costato 200 milioni di dollari, nessuno si aspettava che ne potesse incassare 88 milioni nelle  prime due settimane di proiezioni mondiali.

KILLERS OF THE FLOWER MOON è un film su un tema antico, come quello degli indiani, qui gli  Osage dell'Oklahoma negli Anni Venti, lasciati più o meno in pace, ma soltanto fino alla scoperta del petrolio e, se vogliamo, del capitalismo. Girato da un regista ottantenne che ha scolpito il cinema moderno con i suoi melodrammi o i suoi polizieschi, Martin Scorsese non aveva mai diretto un western. E Leonardo DiCaprio, bisogna pur dirlo, dal canto suo ha riacquistato il copione dal produttore che non si è più sentito di finanziarlo. Tutto ciò ha permesso a Scorsese di ricomporre sullo schermo una delle sue coppie predilette. De Niro e DiCaprio, che il regista di GOODFELLAS, CASINO  e THE IRISHMAN (per citare i tre film che si accomunano in parte con quest'ultimo) non aveva mai avuto l'occasione di dirigere contemporaneamente.

Da questa matrice al tempo stesso tradizionale e innovativa si possono estrarre i tre filoni che reggeranno il film, ispirato dall'imponenza della fonte letteraria di David Grann. E sulla quale si affiderà l'importante sceneggiatura firmata dalla mano sempre più esperta di Erich Roth, sei volte candidato agli Oscar e sceneggiatore di fiducia di Fincher, Villeneuve, Bradley Cooper, Spielberg, Mann, Redford...

Tre temi, allora, tre racconti, tre atmosfere che conducono lo spettatore alla follia genocida che colpirà gli indiani Osage: ma al tempo stesso allargherà la riflessione sugli accadimenti che conducono, cento anni dopo, ai nostri tempi. Razzismo, avidità, ignoranza ampliano in questo senso il significato politico e le responsabilità dei giudici, i media, i banchieri, gli industriali che struttureranno nel tempo la società non solo americana. Il film sarà allora sarà allora quello che Scorsese ha sempre modellato, la violenza mafiosa e l'ignoranza del potere, in questo caso quello che condurrà alla privazione, gli anni Venti e i Trenta, dei legittimi proprietari delle  terre petrolifere.

E' allora il secondo sguardo che Scorsese conduce, fondendolo sui destini tragici delle sorelle di Mollie Hale. Interpretati da una Lily Gladstone rimasta fino all'età di undici anni in una riserva del Montana, ora a  trentasette quasi quasi un esordio per tener testa a un Leonardo Di Caprio, bravo quanto un po' tanto memore della maschera di  Marlon Brando. Mollie è straordinaria poiché rara; conterà sulla sola espressività del proprio sguardo per insinuarsi definitivamente nel processo d'identificazione dello spettatore.

Terzo filone, accanto alla definitiva consacrazione di un cattivissimo e impeccabile Robert De Niro, l'inchiesta  condotta in quegli anni dalla nascente FBI del futuro Hoover, la mano esperta e non ancora appannata di Scorsese nel denunciare non tanto una banda di poveracci. Ma quella più utile anche se non solo dilettevole di un'America fragilizzata dal proprio potere, dalla giustizia, i media, i medici, gli avvocati, i banchieri e gli industriali. Ed è in quel senso che lo sguardo di Scorsese non è soltanto quello di un formidabile e rilassato ottantenne: ma di uno storico, forse di un politico, di un maestro del melodramma, forse del manipolatore cinematografico.  

* Vogliate p.f. cliccare su www.filmselezione.ch per la lettura completa della raccolta di critiche cinematografiche FILMSELEZIONE di Fabio Fumagalli

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Cinema, like other businesses revolving around it, is in crisis. Yet, from a film signed by one of its greatest exponents, conditioned in its theatrical screening by a running time of almost three and a half hours in the era of rampant television series, costing $200 million, no one expected it to gross $88 million in its first two weeks of worldwide screenings.

KILLERS OF THE FLOWER MOON is a film about a theme as old as the Indians, here the Osages of Oklahoma in the 1920s, left more or less alone, but only until the discovery of oil and, if you like, capitalism. Shot by an eighty-year-old director who has sculpted modern cinema with his melodramas and detective stories, Martin Scorsese had never directed a western. And Leonardo DiCaprio, it must be said, for his part bought back the script from the producer who no longer felt like financing it. All this allowed Scorsese to recompose on screen one of his favourite couples. De Niro and DiCaprio, whom the director of GOODFELLAS, CASINO and THE IRISHMAN (to name the three films that have some similarities with the latter) had never had the opportunity to direct at the same time.

From this matrix, at once traditional and innovative, one can extract the three strands that will sustain the film, inspired by the impressiveness of David Grann's literary source. And on which will rely the important screenplay signed by the increasingly expert hand of Erich Roth, six-time Oscar nominee and trusted screenwriter of Fincher, Villeneuve, Bradley Cooper, Spielberg, Mann, Redford...

Three themes, then, three tales, three atmospheres that lead the spectator to the genocidal madness that struck the Osage Indians: but at the same time broaden the reflection on the events that lead, one hundred years later, to our times. Racism, greed, ignorance expand in this sense the political significance and responsibilities of the judges, the media, the bankers, the industrialists that will structure society over time, not only American. The film will then be the one that Scorsese has always modelled, the mafia violence and ignorance of power, in this case that which will lead to the deprivation, the 1920s and 1930s, of the legitimate owners of the oil lands.

It is then the second look that Scorsese takes, merging it with the tragic fates of Mollie Hale's sisters. Played by a Lily Gladstone who remained until the age of eleven on a Montana reservation, now at thirty-seven almost a debutante to hold her own against a Leonardo Di Caprio, as good as he is a little mindful of Marlon Brando's mask. Mollie is extraordinary because she is rare; she counts on the expressiveness of her gaze alone to insinuate herself definitively into the spectator's identification process.

The third strand, next to the definitive consecration of a villainous and impeccable Robert De Niro, is the investigation conducted in those years by the nascent FBI of the future Hoover, Scorsese's expert and not yet tarnished hand in denouncing not so much a gang of poor people. But the more useful if not merely amusing one of an America fragilised by its own power, justice, the media, doctors, lawyers, bankers and industrialists. And it is in that sense that Scorsese's gaze is not only that of a formidable and relaxed octogenarian: but of a historian, perhaps of a politician, of a master of melodrama, perhaps of the film manip

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