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Un incidente, un suicidio, un omicidio? La ragione dell'interesse per la Palma d'Oro di Cannes 2023 non andrebbe svelata. Poiché una delle notevoli qualità di questo "poliziesco alla francese" (come l'ha definito Justine Triet al suo quarto, sempre più maturo percorso) risiede proprio nell'esistenza di quell'interrogativo.
Un uomo, la vittima che non avremo mai l'occasione di vedere nel film, è ritrovato morto nella neve. Ai piedi dello chalet dove vivono la sua compagna scrittrice di origine tedesca (una mutevole, formidabile Sandra Hüller), il figlio undicenne Daniel, debole di vista, e il cane Snoop. Ma di sicuro, in questa vicenda costruita sulla progressiva assenza delle certezze, ci saranno solo due cose. Per quanto riguarda l'uomo, la sua caduta provata dalla finestra. Per la sua compagna, il buco insondabile, ma nemmeno assolutamente lacerante dei sospetti che la condurranno sul banco degli imputati.
ANATOMIA DI UNA CADUTA è però solo per convenienza una prison movie, il genere che ha regalato a Hollywood capolavori come STALAG 17 di Billy Wilder, ANATOMY OF A MURDER di Otto Preminger o HUNGER di Steve McQueen. E' piuttosto un film sulla coppia, scandagliato inutilmente nell'intimità imposta dagli spazi reclusi. Così abitazione, isolata fra i boschi adiacenti, ma che soltanto il figliolo dalla vista annebbiata sembra desideroso di percorrere in copagnia del suo cane Snoop.
ANATOMIA DI UNA CADUTA non è allora un film su un processo, destinato a rivoltarsi su sé stesso; ad immagine di quel procuratore pubblico al quale si è concesso (forse l'unico passo falso del film) troppo spazio. Ma è la vicinanza con i personaggi, proprio nella crescente impossibilità di conoscerne l'autentico profilo, a sospingere il film verso una conclusione quasi imposta allo spettatore.
L'intimità con Sandra sospinge allora una pellicola dalla sceneggiatura ambiziosa (firmata dalla Triet con Arthur Harari) che s'imprime nella memorie. Infine, l'anatomia non è più quella di una caduta.
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An accident, a suicide, a murder? The reason for the interest in the Palme d'Or at Cannes 2023 should not be revealed. Because one of the remarkable qualities of this 'French-style detective film' (as Justine Triet called it in its fourth, increasingly mature run) lies precisely in the existence of that question.
A man, the victim we never get to see in the film, is found dead in the snow. At the foot of the chalet where his German-born writer companion (a shifty, formidable Sandra Hüller), his 11-year-old son Daniel, who is visually impaired, and his dog Snoop live. But for sure, in this story built on the progressive absence of certainties, there are only two things. For the man, his rehearsed fall from the window. For his companion, the unfathomable but also absolutely gaping hole of suspicion, which will lead her into the dock.
ANATOMY OF A FALL, however, is only conveniently a prison movie, the genre that gave Hollywood masterpieces such as Billy Wilder's STALAG 17, Otto Preminger's ANATOMY OF A MURDER or Steve McQueen's HUNGER. Rather, it is a film about a couple, unnecessarily plumbed in the intimacy imposed by confined spaces. Thus dwelling, isolated in the adjacent woods, but which only the son with blurred vision seems eager to walk through, accompanied by the dog Snoop.
ANATOMY OF A FALL is thus not a film about a trial, destined to turn in on itself; in the image of that public prosecutor to whom too much space has been given. One of the usual limitations of a film that runs over two hours. It is the closeness with the characters, despite the increasing impossibility of knowing their authentic profile, that propels the film towards a conclusion almost imposed on the viewer. The intimacy with Sandra then drives a film with an ambitious screenplay (signed by Triet with Arthur Harari) that sticks in the memory. The anatomy is no longer that of a fall.
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