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Volete cercare su Google DREAMLAND CINEMA MARGATE? Otre che riflessioni sulle sorti di quella che definivamo la settima arte troverete la traccia in immagini e le ultime informazioni che devono aver stregato Sam Mendes. Non uno sprovveduto. Uno dei tanti sopraffini artigiani che hanno fatto la grandezza di Hollywood, capace ad esempio di creare un capolavoro da uno dei tanti James Bond, lo splendido SKYFALL nel 2012.
Mendes, si scriveva allora, aveva intuito che in epoca di frettolose serie televisive non fosse più il caso di affidarsi esclusivamente ad entusiasmi testosteronici.. Ed ecco allora una sceneggiatura intelligente, una storia crepuscolare e nevrotica impregnata, al pari dei propri protagonisti, da tentazioni freudiane. Con un 007 addirittura defunto e in seguito resuscitato, eternamente devoto, fino a una commozione inedita alla figura di M, La leader occulta del controspionaggio, minacciata, tradita, vacillante, in una Londra ormai stinta e malinconica.
Ora con EMPIRE OF LIGHT Sam Mendes ritorna ad attualizzare certe sue rimembranze, in un intimismo inedito e tutt'altre situazioni.
Agli inizi degli Anni Ottanta, in una tipica stazione balneare del sud-est britannico, con quell'Empire che troneggia sulla sterminata spiaggia di Margate. O, perlomeno, sulla sua sopravvissuta facciata, l'insegna ribattezzata Dreamland, nello splendido Art Deco risalente al 1923, le sue 2050 poltroncine, riproposte nel 1935 assieme ad una Greta Garbo protagonista in THE PAINTED VEIL.
Gli Anni Ottanta di Mendes, la sua sala e il suo cinema debordante e trionfante (la fotografia del grande Roger Deakins è semplicemente favolosa) non sono però ricondotti a una memoria unica e significativa . Non quanto possano esserlo quelli di un'attuale tendenza, peraltro notevole, cara ai vari Spielberg, James Gray, Chazelle o Tarantino. Anche perché il film abbraccia tutta una serie di filoni (sontuosa gloria, non inimmaginabile auto-distruzione della settima arte, malattia congenita e vissuta dalla protagonista, razzismo, skinhead, diversità sociali) ma viene divorato dalla presenza dominatrice di una Olivia Colman, forse indimenticabile ma depositaria di tutto un riandare filmico debordante.
Hillary è la "cassiera" della mitica sala; ma egualmente addetta alla pulizie, responsabile del bancone di bibite e popcorn, cosi obbligata alle più che concrete e saltuarie attenzioni del manager interpretato da Colin Firth. Sono i confini infidi dei disturbi mentali, solo provvisoriamente emarginati quando il giovane e affettuoso (ma black, in quell'Inghilterra di Margaret Thatcher) Michael Ward, che sembra volersi accostare stabilmente ravvivando la solitudine della protagonista.
Nel contempo, EMPIRE OF LIGHT assume però il rischio di frammentare in parte i suoi temi, oltre che l'amalgama dei suoi vigorosi significati espressivi. La ricostruzione d'epoca è sempre impeccabile, a tratti memorabile, così come l'impatto degli attori, le musiche, mai semplicemente decorative. Ma tutto arrischia ad ogni istante di affidarsi eccessivamente alla memoria di un tesoro di celluloide in via di perdizione.
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Would you like to Google DREAMLAND CINEMA MARGATE? As well as reflections on the fate of what we used to call the seventh art, you will find the track in images and the latest information that must have bewitched Sam Mendes. Not an amateur. One of the many master craftsmen who have made Hollywood greatness, capable for example of creating a masterpiece from one of many James Bonds, the splendid SKYFALL in 2012.
Mendes, it was written at the time, had sensed that in an era of hurried television series, it was no longer appropriate to rely exclusively on testosterone-driven enthusiasm. And so here is an intelligent script, a crepuscular and neurotic story imbued, like its protagonists, with Freudian temptations. With a 007 even deceased and later resurrected, eternally devoted, up to an unprecedented emotion, to the figure of M, the occult leader of counter-espionage, threatened, betrayed, wavering, in a now faded and melancholic London.
Now, with EMPIRE OF LIGHT, Sam Mendes returns to update certain of his reminiscences, in an unprecedented intimism and quite different situations.
In the early 1980s, in a typical south-east British seaside resort, with that Empire towering over the endless Margate beach. Or, at least, on its surviving façade, the sign renamed Dreamland, in the splendid Art Deco dating back to 1923, its 2050 armchairs, reproposed in 1935 with a Greta Garbo starring in THE PAINTED VEIL.
Mendes's 1980s, his hall and his overflowing, triumphant cinema (the cinematography by the great Roger Deakins is simply fabulous) are not, however, traced back to a unique and meaningful memory . Not as much as those of the current, albeit remarkable, trend cherished by the likes of Spielberg, James Gray, Chazelle or Tarantino. Not least because the film embraces a whole series of strands (sumptuous glory, unimaginable self-destruction of the seventh art, congenital illness experienced by the protagonist, racism, skinheads, social diversity) but it is devoured by the dominating presence of an Olivia Colman, perhaps unforgettable but the custodian of a whole overflowing filmic reminiscence.
Hillary is the 'cashier' of the mythical hall; but equally the cleaner, in charge of the drinks and popcorn counter, equally obliged to the more than concrete and occasional attentions of the manager played by Colin Firth. These are the treacherous confines of mental disorders, only temporarily marginalised when the young and affectionate (but black, in Margaret Thatcher's England) Michael Ward, who seems to want to permanently approach enlivening the loneliness of the protagonist.At the same time, EMPIRE OF LIGHT takes the risk of fragmenting its themes to some extent, as well as the amalgamation of its vigorous expressive meanings. The period reconstruction is always impeccable, at times memorable, as is the impact of the actors, the music, never simply decorative. But everything runs the risk at every moment of relying too much on the memory of a celluloid treasure in the process of being lost.
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