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EO Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 marzo 2023
 
di Jerzy Skolimovski, con Sandra Drzymalska, Mateusz Kosciukiewicz, Tomasz Organek, Isabelle Huppert (Polonia, 2022)
 

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Non avete letto male. Il protagonista dell'ultimo film di un regista ottantaquattrenne, un indimenticabile nell'evoluzione del cinema moderno a partire dagli Anni Sessanta, è un asino. Meglio, un asinello. Che fa di Jerzy Skolimovski, il cineasta polacco di DEEP END (1970) o MOONLIGHTING (1982), uno dei più sorprendenti inventori di favole nel panorama attuale del cinema scombussolato post-covid. Si chiama EO questo eroe umile, come il proprio raglio. E non può permettersi eccentricità particolari, gracile com'è; bisognoso sopratutto di affetto quando iniziamo a seguirlo in un circo polacco. Per poi seguirlo, in una catena di vicissitudini non esattamente fortunate, quasi tragiche, ma nemmeno spettacolari. 

 Si è detto che EO, il film, s'ispiri al più celebre della sua razza che abbia attraversato tutto il cinema, il Balthazar di AU HASARD BALTHAZAR. Ma è vero solo in parte. Il cinema di Robert Bresson rimane unico per l'analisi del linguaggio al quale si è appoggiato, di una purezza e assenza di enfasi o compiacimento che sola gli è appartenuta, di un'emozione che s'ingigantiva allontanandosi dai momenti più emotivi. Come nel mitico finale di BALTHAZAR , quando l'asino si lascia morire nell'indifferenza totale dei montoni che gli stanno attorno.

Skolimovoski riprende la malinconia del capolavoro di Bresson non tanto per recuperare l'irripetibile frugalità di Balthazar; ma per affondare il suo di asinello nel caos di un'epoca dalle risonanze emotive ormai modificate e forse irreversibili.

Bresson volava alto, impeccabile. Skolimovski non disdegna di scendere nel fango della violenza o perlomeno del grottesco; per rispecchiarsi a lungo negli occhi spalancati, quasi comprensivi, mai indifferenti del suo protagonista. E' sempre stato capace di fondere, nel proprio stile, l'ironia e la tragedia. E l'analisi. Tranquillamente contrapposto al genere animale, quello umano non ne esce proprio bene.

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You have not read this wrong. The protagonist of the latest film by an 84-year-old director, an unforgettable in the evolution of modern cinema since the 1960s, is a donkey. Better, a donkey. Which makes Jerzy Skolimovski, the Polish filmmaker of DEEP END (1970) or MOONLIGHTING (1982), one of the most astonishing inventors of fairy tales in today's discombobulated post-covid cinema. His name is EO this humble hero, like his own braying. And he cannot afford any particular eccentricities, puny as he is; needy above all for affection when we start following him in a Polish circus. And then follow him in a chain of vicissitudes that are not exactly fortunate, almost tragic, but not spectacular either.   

It has been said that EO, the film, is inspired by the most famous of its kind to have crossed all cinema, AU HASARD BALTHAZAR's Balthazar. But this is only partly true. The cinema of Robert Bresson's cinema remains unique for the analysis of the language he relied on, of a purity and absence of emphasis or complacency that only belonged to him, of an emotion that was magnified by moving away from the most emotional moments. As in the mythical finale of BALTHAZAR , when the donkey allows himself to die in the total indifference of the rams around him.

Skolimovoski picks up the melancholy of Bresson's masterpiece not so much to recover Balthazar's unrepeatable frugality, but to sink his donkey into the chaos of an era whose emotional resonances are now altered and perhaps irreversible.

Bresson flew high, impeccably. Skolimovski does not disdain to descend into the mire of violence or at least the grotesque; to reflect himself at length in the wide-open, almost sympathetic, never indifferent eyes of his protagonist. He has always been able to blend irony and tragedy in his style. And analysis. Quietly contrasted with the animal genus, the human genus does not exactly come out well.

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