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DRIVE MY CAR
(DORAIBU MAI KA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 11 marzo 2022
 
di Ryûsuke Hamaguchi, con Hidetoshi Nishijima, Toko Miura, Reika Kirishima, Masaki Okada, Perry Dizon (FOR ENGLISH VERSION SEE BELOW) (STREAMING: Rakunten) (Giappone, 2021)

Disponibile in streaming/VOD

 

( FOR ENGLISH VERSION SEE BELOW )

 Drive my car di Ryusuke Hamaguchi è  il primo film nella favolosa storia del cinema giapponese a vincere quale "Miglior Film Internazionale " agli Oscar. Come non bastasse, terza opera  da sempre di quella cinematografia ad assicurarsi la nomination nella categoria "Miglior regista"; oltre a quelle per la "Best International Feature" e la "Migliore Sceneggiatura", Drive my car raggiunge cosi Ran di Akira Kurosawa come film giapponese dal maggior numero di nomination.

Tratto da un racconto di Haruki Murakami, Drive my car è l'ottavo lungometraggio del regista: una progressione già sottolineata all'ultimo festival di Cannes dal premio per la Miglior Sceneggiatura. Una distinzione alla quale aveva pure contribuito il Festival di Locarno del 2015 con Happy Hour che vinceva il Pardo per l'Interpretazione delle sue quattro splendide attrici. Oltre che far più che mormorare per la sua durata di oltre trecento minuti...

Drive my car fa parte di quei film che s'imprimono nella memoria degli spettatori per sempre; una caratteristica sempre più insolita e determinante nel dilagare d'immagini nel nostro tempo. E' un'opera magica, che riesce a costruirsi in una discrezione che acquista progressivamente la vastità emotiva e significativa del grande romanzo tradizionale. Ma senza fermarsi a quello stadio: irradiandosi progressivamente per ulteriori, affascinanti tracciati.

Al centro esistenziale come poetico troviamo questo imprescindibile, indimenticabile Kafuku ((Hidetoshi Nishijima): regista ed attore chiamato da un grande festival ad inscenare uno Zio  Vania del tutto particolare. Non fosse che per il celebre testo di Cechov che riflette le vicissitudini indagate dal film; ma in quanto sorprendentemente interpretato da attori dalla lingua materna diversa, il giapponese il coreano, il mandarino, addirittura il linguaggio dei segni da parte di una straordinaria attrice muta.

Quel palcoscenico così smisurato si confronta allora incessantemente con quanto si confonde in un involucro al contrario assolutamente rinchiuso, la Saab 900 rossa del titolo. Nel quale si rivelano i molteplici labirinti, si scioglieranno a fatica, ma con una naturalezza infinita, i silenzi, si sveleranno le diverse psicologie. Un seguito appassionante, lucido e vieppiù significativo, emotivamente coinvolgente.

Incaricata dai promotori teatrali quale autista per il protagonista, sarà allora la scostante, quasi ingrata Misaki a caricarsi dei trascorsi emotivi che hanno marcato la pellicola. Di una sensibilità introspettiva rara il film di Hamaguchi scava allora nel profondo: ma sempre con una serenità, una misura estetica e morale che deriva dalla propria umanità. Sul filo di una padronanza registica esemplare, con un'efficacia che finisce per sorprendere il più scettico degli spettatori, Drive my car scava in quest'epoca di frettolose illustrazioni e conclusioni con una melanconia intrisa di grazia. Senza disdegnare l'ironia, nei profondo dei suoi personaggi confusi nel presente come nel passato.

* Vogliate p.f. cliccare su www.filmselezione.ch per la lettura completa della raccolta di critiche cinematografiche FILMSELEZIONE di Fabio Fumagalli

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 Ryusuke Hamaguchi's Drive My Car is the first film in the fabled history of Japanese cinema to be win as "Best Foreign Film" of the year. As if that weren't enough, it is the third film in the history of Japanese cinema to be nominated for Best Director, Best International Feature and Best Screenplay. Drive My Car joins Akira Kurosawa's Ran as the Japanese film with the most nominations.

Based on a story by Haruki Murakami, Drive my car is the director's eighth feature, a progression already underlined at the last Cannes Film Festival by the award for Best Screenplay. A distinction to which the 2015 Locarno Festival had also contributed with Happy Hour winning the Pardo for the Performance of its four splendid actresses. As well as making more than a murmur over its duration of over three hundred minutes...

Drive my car is one of those films that sticks in the viewer's memory forever; an increasingly unusual and crucial feature in the flood of images in our time. It is a magical work, which manages to build itself up in a discretion that gradually acquires the emotional and meaningful vastness of the great traditional novel. But it does not stop at that stage: it progressively radiates out along further fascinating paths.

At the existential as well as poetic centre we find this indispensable, unforgettable Kafuku (Hidetoshi Nishijima): director and actor called upon by a major festival to stage a very special Uncle Vania. Not only because of the famous text by Chekhov, which reflects the vicissitudes investigated by the film, but also because it is surprisingly interpreted by actors with a different mother tongue, Japanese, Korean, Mandarin and even sign language by an extraordinary mute actress.

This huge stage is then incessantly confronted with what is confounded in a completely enclosed envelope, the red Saab 900 of the title. In which the multiple labyrinths are revealed, the silences are melted with difficulty but with infinite naturalness, and the different psychologies are revealed. An exciting, lucid and emotionally involving sequel.

Entrusted by the theatre promoters with the task of chauffeuring the protagonist, it is the unfriendly, almost ungrateful Misaki who takes on the emotional baggage that has marked the film. With its rare introspective sensitivity, Hamaguchi's film delves into the depths, but always with a serenity, an aesthetic and moral measure that derives from its own humanity. With exemplary directorial mastery and an effectiveness that will surprise even the most sceptical viewer, Drive my car delves into this era of hasty illustrations and conclusions with a graceful melancholy. Without disdaining irony, in the depths of its characters confused in the present as in the past.

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