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Non è facile dissertare su Tre piani, forse nemmeno per Nanni Moretti. Dall'inizio abbiamo adorato il cineasta che ha lasciato per sempre la propria impronta su un grande cinema come quello italiano. Eppure, leggiamo di Tre piani, ed è difficile dissentirne, che si tratta probabilmente del suo film più problematico. Peggio,, che ci si chiede se il suo ultimo film sia davvero stato firmato dall'autore di Palombella rossa, Caro diario o Habemus Papam.
Ci si sbaglia, forse, Certo è che a sessantasette anni, e dopo aver calcato come pochi altri l'impronta della propria personalità sullapropria filmografia, Nanni ha girato qualcosa di diverso da tutto quanto ci aveva abituato. D'altra parte: è proprio per la ragione d'essere di quel "tutto quanto" che lo abbiamo adorato...
E' il caso allora di constatare come Tre piani sia tratto dall'eloquente ma complesso romanzo dell'israeliano Eshkol Nievo. Il primo film, in tredici anni di carriera, a non nascere da un un soggetto originale di Moretti. Quindi, di progressivamente constatare come nella pellicola venga proprio a mancare quanto in cinema si riesce a normalmente a lievitare dell'impianto letterario, per quanto istruttivo ed eventualmente toccante sia.
Bisogna crederci, insomma: a quell'universo traslato dalla sua squisita origine ed ora proiettato su uno schermo. Privato nel contempo dell'inimitabile ironia del proprio autore, Tre piani rimane rispettabile, ma difficilmente risulta emozionante. Gli ingredienti ci sarebbero stati tutti. Tre piani nel caseggiato borghese per tre vicende destinate ad incrociarsi vieppiù allusive: la coppia di magistrati il cui figlio condizionato dall'alcol provoca un incidente d'auto mortale, un padre convinto che la sua figliola sia stata vittima di un'aggressione sessuale da parte del vicino senile, la solitudine di una giovane puerpera dal marito assente che teme di ereditare i disturbi mentali della madre.
L'attore Nanni Moretti appare allora nel ruolo del magistrato glaciale, uno dei più interessanti da far agire nella propria intransigenza. Ma al contrario, e forse volutamente, rimane distaccato dal contesto generale, quasi confinato ai minimi termini. Non a caso? In un film che, come il precedente Mia madre, sembra distaccarsi sempre più, nella scrittura, come nella recitazione, dagli slanci spesso esaltanti del passato morettiano.
Così, del sensibile Mia Madre del 2015 dicevamo ch'era ormai un film sullo smarrimento: su un mondo che sfuggiva sempre più a chi si sforzava di comprenderlo. Il padre giudice di Tre piani appartiene sempre più a quella svolta morettiana. Assistendo amorevolmente la madre, Nanni era allora ancora in quel film una figura di bella umanità che risaltava nell'agitazione generale. Pur senza abdicare, nel proprio ritegno come nella sua partecipazione che si sentiva autobiografica, a quel narcisismo che rimaneva come di dovere un segno irrinunciabile della sua personalità.
Ora non più, apparentemente. Appoggiandosi a una visione scolorita (dalla fotografia alla scenografia, al montaggio) l'ultimo Moretti finisce per coinvolgere il suo cast più che lussuoso: che sembra, più che affliggersi degli accadimenti circostanti, disinteressarsi degli stessi. Quasi accorgendosi solo allora dell'accaduto, l'autore conclude la faccenda con la sequenza, dalla sazietà che ci guarderemo bene dal definire felliniana, di un gruppo di ballerini che si allontanano danzando sulla strada prospicente. Via libera d'interpretarla allo sconsolato spettatore.
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It is not easy to dissertate on Tre piani, perhaps not even for Nanni Moretti. From the beginning, we have adored the filmmaker who has forever left his mark on such great cinema as Italian cinema. Yet, we read about Tre piani, and it is hard to disagree, that it is probably his most problematic film. Worse, that one wonders whether his last film was really signed by the author of Palombella rossa, Caro diario or Habemus Papam.
We may be wrong, but what is certain is that at the age of sixty-seven, and after having left the imprint of his own personality on his filmography like few others, Nanni has made something different from all that he had accustomed us to. On the other hand, it is precisely for the reason of being of that "everything" that we adored him...
It is worth noting, then, that Three Floors is based on the eloquent but complex novel by Israeli Eshkol Nievo. It is the first film in his thirteen-year career not to be based on an original subject by Moretti. Therefore, to progressively observe how the film lacks what in cinema is normally able to leaven the literary structure, however instructive and possibly touching it may be.
In short, we have to believe in that universe shifted from its exquisite origin and now projected on a screen. Deprived at the same time of its author's inimitable irony, Three Floors remains respectable, but hardly thrilling. All the ingredients would have been there. Three floors in a bourgeois block of flats for three stories destined to intersect in an increasingly allusive way: a couple of magistrates whose alcohol-addled son causes a fatal car accident, a father convinced that his daughter has been the victim of a sexual assault by his senile neighbour, the loneliness of a young pregnant woman with an absent husband who fears he may inherit his mother's mental disorders.
The actor Nanni Moretti then appears in the role of the glacial magistrate, one of the most interesting to act in his intransigence. But on the contrary, and perhaps deliberately, he remains detached from the general context, almost confined to the minimum. Not by chance? In a film that, like the previous Mia Madre, seems to be increasingly detached, in its writing as in its acting, from the often exalting impulses of Moretti's past.
Thus, we said of the sensitive 2015 film Mia Madre that it was now a film about bewilderment: about a world that increasingly eluded those who tried to understand it. The father judge in Tre piani belongs more and more to that Morettian turn. By lovingly assisting his mother, Nanni was then still in that film a figure of beautiful humanity that stood out in the general turmoil. Although without abdicating, in his own restraint as in his participation which felt autobiographical, that narcissism which remained, as a matter of duty, an inalienable sign of his personality.
Apparently not any more. Leaning on a faded vision (from the photography to the set design, to the editing), Moretti's latest film ends up involving his more-than-luxurious cast: who seem to be disinterested in the surrounding events rather than distressed by them. As if only then realising what had happened, the author concludes the affair with the sequence, with a satiety that we would be careful not to define as Fellini-like, of a group of dancers walking away, dancing on the road ahead. It is up to the disconsolate spectator to interpret it.
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