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IO SONO L'AMORE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 gennaio 2011
 
di Luca Guadagnino, con Tilda Swinton, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Pippo Delbono, Alba Rohrwacher, Maria Paiato, Gabriele Ferzetti, Marisa Berenson, Diane Fleri (Italia, 2009)
 

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Oggetto particolare, perlomeno all'interno non proprio esaltante del cinema italiano che sappiamo. Un esercizio ambizioso e contraddittorio: indubbiamente talentuoso quanto, a tratti, insopportabilmente auto-compiaciuto. Ma, non fosse che per queste ragioni, degno di una certa attenzione.

Quasi curiosamente, del film di Luca Guadagnino regista dai trascorsi non sempre esaltanti come nel caso di MELISSA P., se ne è parlato in modo esponenziale dopo la partecipazione incolore alla Mostra di Venezia 2009. Complice la successiva partecipazione al Sundace e sopratutto il clamoroso successo del film (nelle proporzioni riservate al cinema europeo negli States) nelle sale e presso la critica anglosassone. Complice, conseguenza più o meno inevitabile, la contestazione in questi giorni del regista stesso: “ A rappresentare l'Italia agli Oscar la commissione ha scelto LA PRIMA COSA BELLA di Paolo Virzi: ma è convinta di aver fatto la cosa giusta? Il mio film ha incassato 5 milioni di dollari negli Stati Uniti, terzo film di lingua non inglese, trenta premi e una nomination ai Golden Globes.

Ditirambici, New York Times e compagni hanno in effetti parlato di Luchino Visconti. Forse perché si tratta di una storia milanese, ambientata nella cornice esteticamente sontuosa della ricca borghesia, a pochi passi da dove ha vissuto il grande maestro.

Ci andrei un po' più piano, addentrandoci nella vicenda dalla sceneggiatura inconcludente di una Tilda Swinton (al solito magistrale, anche se condizionata da un accento russo che toglie pur sempre qualcosa al suo meraviglioso aplomb "british") assolutamente incandescente, relativamente (come si vedrà) remissiva sotto la patina glaciale impostagli dal ruolo di moglie importata dell'erede di una lunga dinastia d'industriali tessili, ora minacciati dalla mondializzazione.

Dall'ipocrisia milanese, avvolta soavemente nella neve che sfiora la guglie del duomo, all'erotismo solare della Liguria, dove la signora raggiungerà l'unico maschio in circolazione con la testa sulle spalle ma lo stato sociale di cuoco di famiglia, l'ambizione formale, e anche la facilità espressiva di Luca Guadagnino avranno molte occasioni di esprimersi. Troppe. Perché è solo nella misura, dei vuoti, dei silenzi, delle rinunce al pathos totale che l'esuberanza più entusiasta può trovare una sua ragione. E una sua efficacia. Qui, quando la spettacolare macro osservazione dei pori epidermici degli amanti si dilata nell'esplosione bucolica dei pollini associata alla copula degli insetti, quando le succulente coreografie gastronomiche dai gamberi in salsa scorticati con languore dalla forchetta promuovono (non è proprio nuova) l'associazione con la sensualità infine liberata della signora, il rischio è di sconfinare, se non nei risolini, perlomeno nell'indigestione.

Raffinato nelle immagini, grandiloquente nel messaggio o nelle musiche, disordinato nella sceneggiatura o nel montaggio IO SONO L'AMORE testimonia del talento del cuoco; e della sua ingordigia. Fra le due cose, occorre sapere scegliere.

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Peculiar object, at least within the less than exhilarating Italian cinema we know. An ambitious and contradictory exercise: undoubtedly talented as much as, at times, unbearably self-congratulatory. But, if only for these reasons, worthy of some attention.

Almost curiously, Luca Guadagnino-director Luca Guadagnino's film, a director with a history that is not always as exhilarating as in the case of MELISSA P., was talked about exponentially after its colorless participation at the 2009 Venice Film Festival. Accomplice the subsequent participation in Sundace and above all the resounding success of the film (in the proportions reserved for European cinema in the States) in theaters and among Anglo-Saxon critics. Accomplice, a more or less inevitable consequence, the contestation in these days of the director himself: To represent Italy at the Oscars the commission chose Paolo Virzi's THE FIRST BEAUTIFUL THING: but are you convinced you did the right thing? My film grossed $5 million in the U.S., third largest non-English language film, thirty awards and a Golden Globes nomination

Dithyrambics, New York Times, and comrades actually talked about Luchino Visconti. Perhaps this is because it is a Milanese story, set in the aesthetically sumptuous setting of the wealthy bourgeoisie, a stone's throw from where the great master lived.

I would take it a little slower, delving into the affair from the inconclusive screenplay by a Tilda Swinton (as usual masterful, though conditioned by a Russian accent that still takes something away from her marvelous “British” aplomb) absolutely incandescent, relatively (as will be seen) submissive under the icy veneer imposed on her by the role of imported wife of the heir to a long dynasty of textile industrialists, now threatened by globalization.

From the hypocrisy of Milan, shrouded suavely in snow that skims the spires of the cathedral, to the sunny eroticism of Liguria, where the lady will join the only male around with a head on his shoulders but the social status of family cook, formal ambition, and even Luca Guadagnino's expressive facility will have many opportunities to express themselves. Too many. For it is only in the measure, the gaps, the silences, the renunciations of total pathos that the most enthusiastic exuberance can find its reason. And its own effectiveness. Here, when the spectacular macro-observation of the lovers' epidermal pores expands into the bucolic explosion of pollen associated with insect copulation, when the succulent gastronomic choreography from the shrimp in sauce flayed languorously from the fork promotes (not exactly new) association with the lady's finally liberated sensuality, the risk is to border, if not on resolves, at least on indigestion.

Refined in imagery, grandiloquent in message or music, messy in script or editing I AM LOVE testifies to the cook's talent; and to his gluttony. Between the two, one must know how to choose.

 


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