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LADY VENDETTA
(CHINJEOLHAN GEUMJASSI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 maggio 2006
 
di Park Chan-wook, con Lee Yeong-ae, Choi Min-sik, Lee Seung-Shin, Bae Du-na (Corea del Sud, 2005)
 

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Come dal titolo, ulteriore riflessione e conclusione della trilogia sul tema della vendetta da parte dell'autore del sorprendente OLD BOY, apparso due anni fa e premiato a Cannes (dalla giuria presieduta, et pour cause, da Quentin Tarantino...). Con qualche bonus in più, rispetto alla già cospicua dose di violenza proposta allora (ma violenza sofisticata: chiave di lettura indispensabile per apprezzare il film e snaturarne l'eventuale perrniciosità).


Anche qui, come nel film precedente, la vendetta è un atto compiuto da qualcuno che si è fatto a torto una bella dose di galera; la differenza è che ora si tratta di una donna, forse più adatta ad esprimere il concetto di espiazione.. E che la vendetta è plurima, oltre che approfondita: a compierla, sul corpo del vero colpevole, saranno uno dopo l'altro tutti i parenti delle piccole vittime di un pedofilo serial killer.


Nei suoi contenuti, la violenza del regista coreano dovrebbe essere salvata in quanto ragione di redenzione per il protagonista; nella forma, in quanto espressione di raffinata e sofisticata provocazione. Il rischio, trascorso l'effetto sorpresa che colse impreparata anche la scafata platea dei critici di Cannes, è che ora la seconda finisca per prevalere sulla prima. Ed è il dubbio che inizia ad affiorare alla visione, per quanto a tratti esaltante, di questa LADY VENDETTA. Se nella prima parte del trittico, SYMPATHY FOR MR.VENGEANCE l'interrogativo era posto su chi avesse avuto diritto alla vendetta, in OLD BOY questo diventava piuttosto: ma il male deve ad ogni costo sfociare nella vendetta? Per ricondurci ora, una volta constatata da parte della nostra dark Lady la vanità redentrice della propria operazione alla domanda iniziale: è il desiderio della vendetta all'origine della violenza, o non sarà proprio il contrario?


A cavallo fra queste considerazioni più o meno limpide, una progressione drammatica magari laboriosa nella sua costruzione peraltro ambiziosa, ed uno stile che qualcuno troverà ai confini dell'esibizionismo ma nel quale è impossibile negare la presenza di una mano creativamente imperiosa come poche altre, lo spettatore troverà le ragioni della propria entusiastica adesione piuttosto che di un suo incondizionato rigetto alle tre stellette del vedere assolutamente. Ma di certo, non l'indifferenza che minaccia gran parte di quanto passa tanta parte del convento cinematografico contemporaneo.

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As the title, a further reflection and conclusion of the trilogy on the theme of revenge by the author of the surprising OLD BOY, which appeared two years ago and was awarded at Cannes (by the jury chaired, et pour cause, by Quentin Tarantino...). With a few added bonuses, compared to the already conspicuous dose of violence proposed then (but sophisticated violence: an essential key to appreciating the film and distorting its possible perversity).

Here too, as in the previous film, revenge is an act carried out by someone who has wrongly done a great deal of jail time; the difference is that now it is a woman, perhaps better suited to express the concept of atonement... And that the revenge is multiple, as well as thorough: to carry it out, on the body of the real culprit, will be one after the other all the relatives of the little victims of a paedophile serial killer.

In its content, the Korean director's violence should be saved as a reason for redemption for the protagonist; in its form, as an expression of refined and sophisticated provocation. The risk, after the surprise effect that caught even the experienced Cannes critics unprepared, is that now the latter will end up prevailing over the former. And it is the doubt that begins to surface upon viewing this LADY VENGEANCE , however exhilarating in parts. If in the first part of the triptych, SYMPATHY FOR MR.VENGEANCE the question was posed as to who was entitled to vengeance, in OLD BOY this became rather: but must evil result in vengeance at all costs? To lead us now, once our dark Lady has ascertained the redemptive vanity of her own operation, back to the initial question: is the desire for vengeance at the origin of violence, or is it not quite the opposite?

Between these more or less limpid considerations, a dramatic progression that may be laborious in its ambitious construction, and a style that some will find bordering on exhibitionism, but in which it is impossible to deny the presence of a creatively imperious hand like few others, the spectator will find the reasons for his enthusiastic adhesion rather than his unconditional rejection of the three stars of the absolutely see. But certainly not the indifference that threatens so much of what passes for so much of the contemporary cinematic convent.

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