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IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL
(HAURU NO UGOKU SHIRO)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 10 ottobre 2005
 
di Hayao Miyazaki, lungometraggio di animazione (Giappone, 2004)

Disponibile in streaming/VOD

 

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Costretto a fuggire da Tokyo con la famiglia sotto le bombe americane, Hayao Miyazaki riprendera' nella sua opera molte di quelle sensazioni, la natura aggredita, l'infanzia, la perdita di un caro, la guerra, l'aviazione. Dopo la consacrazione da parte di 15 milioni di spettatori giapponesi con LA PRINCIPESSA MONONOKE (1997), dopo l'Orso d'oro di Berlino seguito dall'Oscar nel 2002 per LA CITTA' INCANTATA ecco un altro incontro mrraviglioso. Forse il più complesso, fra la realtà osservata nel modo più minuzioso e l'incursione sfrenata nel fantastico da parte del maestro giapponese, considerato da molti come il più grande fra i contemporanei del cinema di animazione. Descritta come la storia di una ragazza che per aver fatto uno sgarbo ad una strega viene trasformata in una vecchina che va ad installarsi nel castello ambulante del mago Howl, in incessante deambulazione per evitare i guai di una umanità in guerra, la faccenda parrebbe tutta per piccini. Questi, spesso più liberati degli adulti, lo troveranno di proprio gusto. Ma è pure evidente che questa riflessione sulla vecchiaia e la guerra appartiene ad ogni sorta di spettatore.


Temi eterni, timori più che attuali. Che il genio visionario di Miyazaki dilata infatti nel tempo in una ambientazione da Europa dell'Ottocento, un mix tra la Vienna degli Absburgo, la Parigi della Belle Epoque, la Londra della regina Vittoria: per precipitarli subito, a colpi di macchine volanti o vascelli galleggianti in un universo alla Bosch verso quell'incredibile castello di ferraglia semovente, sgangherata cicogna da primordi industriali su quattro zampe, decrepita e al tempo stesso futuribile come una costruzione di Tinguely.


Adattando un romanzo della scrittrice inglese Diana Wynne Jones, Miyazaki fonde cosi l'immaginario occidentale con quello della propria cultura, il realismo di paccottiglia delle serie televisive con quello dei manga, il sacro ed il profano, il comico e il tragico. Cosi come cambia in continuità l'ambiente ogni volta che si aprono i portelloni del castello ambulante, egualmente le prospettive estetiche, ma anche filosofiche, del film si sviluppano, in un delirio fantastico nel quale sarà avvincente abbandonarsi. E magari anche smarrirsi.

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Forced to flee Tokyo with his family under American bombs, Hayao Miyazaki took up many of those feelings in his work, nature under attack, childhood, the loss of a loved one, war, aviation. After the consecration by 15 million Japanese viewers with THE PRINCESS MONONOKE (1997), after the Golden Bear in Berlin followed by the Oscar in 2002 for THE ENCHANTED CITY, here is another mrravishing encounter. Perhaps the most complex, between reality observed in the most meticulous manner and the unrestrained foray into the fantastic by the Japanese master, considered by many as the greatest among contemporaries of animation cinema. Described as the story of a girl who, having disrespected a witch, is transformed into an old woman who goes to live in the wizard Howl's walking castle, incessantly walking to avoid the troubles of a humanity at war, the story seems to be all for children. These, often more liberated than adults, will find it to their taste. But it is also evident that this reflection on old age and war belongs to all sorts of spectators.

Eternal themes, more than current fears. Which Miyazaki's visionary genius dilates in time in a 19th-century European setting, a mix of the Vienna of the Hapsburgs, the Paris of the Belle Epoque, the London of Queen Victoria: to precipitate them at once, by means of flying machines or floating vessels in a Bosch-style universe, towards that incredible castle of self-propelled scrap metal, a ramshackle stork from the early industrial era on four legs, decrepit and at the same time futuristic like a Tinguely construction.

Adapting a novel by the English writer Diana Wynne Jones, Miyazaki thus fuses the Western imagery with that of his own culture, the junk realism of television series with that of manga, the sacred and the profane, the comic and the tragic. Just as the environment changes in continuity each time the doors of the travelling castle are opened, so too the aesthetic, but also philosophical perspectives of the film develop, in a fantastic delirium in which it will be enthralling to abandon oneself. And perhaps even get lost in.

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