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HARRY POTTER E LA CAMERA DEI SEGRETI
(HARRY POTTER AND THE CHAMBER OF SECRETS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 dicembre 2002
 
di Chris Columbus, con Daniel Radcliffe, Rupert Grint, Emma Watson, Kenneth Branagh, Richard Harris (Stati Uniti, 2002)
 
"Non sono le nostre attitudini, a contare: ma le nostre scelte"; cosi si esprime il nostro eroe, ormai, al termine di HARRY POTTER E LA CAMERA DEI SEGRETI. Con il secondo episodio (tranquilli, ne sono previsti sette) tratto dagli scritti miliardari di J.K. Bowling riceviamo in bonus non soltanto tutta una serie di effetti speciali ed oggetti inediti da destinare all'incombente marketing natalizio (automobile volante, albero picchiatore, elfo domestico, fenice, mandragora, ragni e serpenti in formato extra-large). Ma un tono piuttosto per grandi; che fatica sempre di più, anzi, a non perdere di vista il fatto di essere stato fabbricato per attirare in sala pure i piccini. Gli è che il tempo passa anche per i giovani attori; le creature dei quali guadagnerebbero ad essere congelate per sempre nei ripostigli del nostro immaginario. Cosi, se le sembianze di Hermione diventano sempre più accattivanti anche se non (ancora) propriamente sexy, quelle del mitico Harry Potter si fanno, ahimè, ulteriormente inespressive; il peggio essendo riservato a quelle dell'amico buffo Ron Weasley, la cui smorfia gli si è appiccicata addosso in un ormai tragico rictus indelebile. E, già che diciamo dei personaggi: la leggerezza, l'humour, quel distacco fiabesco che dovrebbero aleggiare sul film sono salvati da qualcuno uso a frequentare Shakespeare. Kenneth Branagh, favoloso nel non prendersi sul serio, incarna un mago narciso e casinista irresistibile.

Se il secondo episodio ha qualcosa da guadagnare sul primo (970 milioni di dollari, incasso nelle sole sale, il record da battere) è anche per il fatto di non doversi sprecare in troppe informazioni introduttive: per dedicarsi subito a tutta una serie di colpi di scena che garantisce un certo suspense ad un mano non esattamente raffinata come quella del regista Chris Columbus. L'atmosfera si è quindi, ed utilmente fatta un po' più dark; anche se l'eccessiva lunghezza ed una discreta ripetitività finiscono per vanificare quella dimensione gotica che le scenografie, l'ambientazione in genere (e l'importanza degli investimenti) potevano lasciar sperare. Ma, forse, non poteva essere altrimenti: con un progetto che poggia sui capitoli di un romanzo da illustrare ai suoi avidi lettori, piuttosto che sui tempi logici di una vera e propria progressione cinematografica. Oltre che su un timore: di mandare all'aria, per il capriccio di uno sgarro espressivo, tutto quel ben di Dio in prospettiva.


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