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Il grande Pedro, figura fondamentale del cinema contemporaneo appena frodato di Palma per l'ennesima volta a Cannes, non usciva da un periodo fasto. Senza interferire fra le sue motivazioni più intime, e dopo l’incursione deludente nella commedia surreale con Gli amanti passeggeri del 2013, ci si era posti forse per la prima volta qualche domanda. Nel seguente Julieta di tre anni or sono, effettivamente, qualche segno trapelava di un’emozione inedita: ma da un mago della destabilizzazione stilistica e della sua interiorizzazione ci si poteva attendere qualcosa in più.
Ora, in questo suo ventunesimo lungometraggio, ecco che qualcosa sembra affermarsi con prepotenza e autenticità: Dolor y gloria è una sorta di inquieta confessione, sublimata da immagini che non permettono dubbi. Anche se Almodovar, quasi confuso dal proprio ardire, affermi che non di autobiografia si tratti; bensì di una "auto-finzione". E che Antonio Banderas, non a caso nel film chiamato Salvador, indossi le vesti di un grande regista ormai ipocondriaco e ai confini della vecchiaia. Mentre l’attore, per di più ispirato come non mai, non faccia nulla per nascondere la commozione nei confronti di una complicità che data dai 33 anni che ci separano da La legge del desiderio.
Poi, il resto: gli ambienti abitati dal protagonista, cosi impregnati dall’inconfondibile identità ambientale dell’autore di tanti capolavori, cosi come gli abiti, l’acconciatura, i capelli ormai irsuti. E, ancora più arditamente: il lungo periodo di consolazione nell’eroina, il legame con la figura materna, addirittura duplicato in Penelope Cruz dapprima, quindi in Julieta Serrano una volta raggiunta la maturità. L’autore di La mala educacion, insomma, si mette in scena con una volontà di trasparenza assoluta: ma, da artista sapiente, senza mai trascendere nel compiacimento, scolorire nell’assenza di pudore. Ecco ancora la rieducazione dopo l’intervento chirurgico, le nevralgie, la sciatica, la tendinite, la depressione. Peggio, mancanza d’ispirazione; ma che lui ricorda, e si racconta.
Sullo sfondo di Dolor y gloria s’intravvede allora addirittura il manifesto di Otto e mezzo: anche se nel capolavoro di Fellini l’emozione e la volontà di raccontarsi non si esprimevano mai in modo altrettanto esplicito: l’invenzione, e la sua soddisfazione, riuscivano costantemente a tenere in ombra l’emozione. Almodovar- Banderas ritorna alla sua infanzia nella campagna misera di Valencia, in una abitazione trogloditica, scavata nel sottosuolo. Uno spazio ovviamente uterino, ma dal quale il regista si sottrae per illuminare in particolare il ricordo della nascita del desiderio. La visione del giovane muratore giunto a imbiancare le pareti della grotta nella quale viveva la famiglia; l’avvio di un tragitto condotto evitando miracolosamente tutti i tranelli.
A cominciare da quell’incontro con Federico, il compagno mai più rivisto dagli anni Ottanta: l’emozione di quella stretta fra i due rimarrà nelle antologie del genere. L’apice di un film più sincero e ispirato che costantemente inventivo o innovativo: ma il furibondo universo artistico di Pedro Almodovar può meritarsi questa specie di capolavoro melanconico.
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* * * * DOLOR Y GLORIA (PAIN AND GLORY), by Pedro Almodóvar, with Antonio Banderas, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Julieta Serrano, Nora Navas (Spain, 2019)
Available on DVD/Blu-ray or VOD/streaming etc.
Date of review: 21 May 2019
The great Pedro, a fundamental figure of contemporary cinema just defrauded by Palme d'Or for the umpteenth time in Cannes, was not coming out of a period of pomp. Without interfering with his most intimate motivations, and after his disappointing foray into the surreal comedy with I'm So Excited! in 2013, questions were perhaps asked for the first time. In the following Julieta three years ago, indeed, some signs of an unprecedented emotion leaked out: but from a magician of stylistic destabilization and its internalization one could expect something more.
Now, in this twenty-first feature film, something seems to be asserting itself with arrogance and authenticity: Pain and Glory is a sort of restless confession, sublimated by images that allow no doubts. Even if Almodovar, almost confused by his own daring, says that it is not an autobiography, but a "self-fiction". And that Antonio Banderas, not by chance in the film called Salvador, wears the clothes of a great director now hypochondriac and on the edge of old age. While the actor, moreover inspired as never before, does nothing to hide his emotion towards an complicity given by the 33 years that separate us from Law of Desire.
Then, the rest: the environments inhabited by the protagonist, so imbued with the unmistakable environmental identity of the author of many masterpieces, as well as the clothes, the hairstyle, the hair now shaggy. And, even more daringly: the long period of consolation in the heroine, the bond with the maternal figure, even duplicated in Penelope Cruz first, then in Julieta Serrano once she reached maturity. The author of Bad Education, in short, puts himself on stage with a desire for absolute transparency: but, as a wise artist, without ever transcending in complacency, fading in the absence of modesty. Here again is the re-education after surgery, neuralgia, sciatica, tendonitis, depression. Worse, lack of inspiration; but that he remembers and tells himself.
Against the background of Pain and Glory one can even glimpse the manifesto of Otto e mezzo: even if in Fellini's masterpiece the emotion and the will to tell the story never expressed itself in such an explicit way: the invention, and its satisfaction, constantly managed to keep the emotion in the shade. Almodovar- Banderas returns to his childhood in the miserable countryside of Valencia, in a troglodytic house dug underground. A space that is obviously uterine, but from which the director takes himself away to illuminate in particular the memory of the birth of desire. The vision of the young mason who came to whitewash the walls of the cave in which the family lived; the start of a journey led miraculously avoiding all the pitfalls.
Beginning with that meeting with Federico, the companion never seen again since the Eighties: the emotion of that close relationship between the two will remain in anthologies of this kind. The apex of a film more sincere and inspired than constantly inventive or innovative: but the furious artistic universe of Pedro Almodovar can deserve this kind of melancholy masterpiece.
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