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"Credo che i sogni siano l'espressione dei desideri ardenti che l'uomo dissimula - quando è sveglio - nel più profondo di sé stesso; e che, liberandosi nel sonno, si materializzano sotto forma d'avvenimenti reali. Mentre sogna, l'uomo è un genio. È audace ed intrepido come un genio. Ecco a cosa mi sono attenuto, filmando questi otto sogni".
Girato cinque anni dopo RAN, il suo film epico ispirato a Shakespeare, con l'aiuto una volta ancora dei suoi amici americani Spielberg e Lucas (e Scorsese, che appare brevemente nelle vesti di Van Gogh... ), Kurosawa ci presenta otto sogni-episodi: i primi due (IL SOLE SOTTO LA PIOGGIA, e IL GIARDINO DEI PESCHI) sono ambientati negli anni 1915-20, quando l'autore era bambino. Il terzo (TEMPESTA DI NEVE) ed il quinto (I CORVI) negli anni Trenta, quando Kurosawa studiava pittura. Il quarto (IL TUNNEL) è strettamente legato al periodo del trauma per la sconfitta della Seconda Guerra. Mentre gli ultimi tre (IL MONTE FUJI IN ROSSO, IL GEMITO DEI DEMONI e IL VILLAGGIO DEI MULINI) sono delle sorte di proiezioni in un futuro apocalittico (non lontano dalle atmosfere di DODESKADEN) o in un passato idealizzato, nel senso di un altro capolavoro che nasceva dall'intimismo con la natura, DERSOU OUZALA.
Testamento spirituale di uno dei maggiori cineasti della nostra epoca giunto ormai all'età di 80 anni, DREAMS- SOGNI è la cristallizzazione sullo schermo dell'idea che Kurosawa si fa del sogno. E del testamento spirituale: i pregi - ma anche i limiti - del film sono esattamente contenuti in questo processo chimico.
Come Fellini, come Bergman, l'autore di RASHOMON è un visionario. Ma è anche un realista: così, la trascrizione dei propri sogni gli permette talvolta l'intuizione espressiva che vi lascia incantato; ma il suo realismo (che psicologicamente direi si traduca in un discreto pessimismo sulle sorti del Giappone contemporaneo) lo conduce ad accostare continuamente l'orrore alla bellezza, l'amarezza, o addirittura la disperazione alla serenità. In un contrappunto che scandisce continuamente il film.
Così, nei primi episodi, la meraviglia infantile, appena sfiorata dalle prime tentazioni per il frutto proibito, (la ricerca delle "volpi" che, nei giorni di pioggia, celebrano i propri amori dove termina l'arcobaleno; il pescheto in fiore, distrutto dagli adulti, che riappare miracolosamente dalla danza rituale della Primavera) si tramuta in pura bellezza. Qui la ricerca di una perfezione classica, nell'uso di tutti gli elementi a disposizione del regista (l'inquadratura, l'illuminazione, il colore, il montaggio e via dicendo) lungi dal sfociare nell'accademismo, raggiungono quell'espressione di lucida contemplazione che derivano da un'ispirazione consapevole, dalla genuinità di un'esigenza che indoviniamo urgente.
Nel più straordinario degli otto episodi, quello ispirato dalla pittura di Van Gogh, tutto ciò sembra improvvisamente lievitare: è quando il protagonista, giovane pittore (nel quale è facile riconoscere l'autore con le sue angosce espressive) in cerca di lumi, penetra letteralmente nel mondo pittorico del grande olandese. Con un atto di coraggio commovente e straordinario non solo per un creatore ottantenne, l'occhio del cineasta si fa largo nello spazio leggendario dei campi di grano, dei canali di Provenza, dei casolari assetati di luce. La cinepresa come prolungamento mentale, come viatico sensuale s'incunea negli strati di pittura, fra le pieghe delle pennellate, i suggerimenti del disegno. Sono pochi minuti di DREAMS- SOGNI, tecnicamente permessi dagli ultimi ritrovati elettronici della premiata ditta Geoge Lucas: ma in questa compenetrazione, al tempo stesso lucida ed esaltata dello spazio cinematografico con quello pittorico, si celebra quel rito d'intimità artistica, di sublimazione collettiva con la quale l'artista sogna da sempre d'uscire dalla solitudine impostagli dal proprio genio.
Qui il film non è soltanto la dimostrazione di un talento immaginifico al servizio di un bilancio ideologico: diventa riflessione estetico / filosofica sulle frontiere che dividono lo spettatore dalla rappresentazione, l'oggetto rappresentato dalla riflessione che cerca - una vita intera - di spiegarlo.
Tutto il travaglio, ma anche la celebrazione gioiosa che è alla base di ogni itinerario artistico sono condensati in questa sequenza straordinaria. E nella sua conclusione: al termine del viaggio all'interno del quadro (che non è altro che il celebre "Campo di grano con corvi" dipinto da Van Gogh ad un mese dalla morte), mentre il pittore scompare tra il giallo dei campi ed il nero del cielo all'orizzonte, un volo nero d'uccelli, con improvviso fragore invade lo schermo. Non è soltanto uno di quegli incontri tra arte visionaria e realistica che segnano la carriera del maestro giapponese, o la scoperta della frontiera fra sogno e realtà: ma uno di quei gridi poetici che appartengono soltanto al cinema, e che nascono quando l'immediatezza di un mezzo rigorosamente fotografico si scontra con la suggestione della sua proiezione fantastica
A partire da quel momento, il film declina dolcemente. E gli ultimi episodi, dettati da un ecologismo ormai di maniera, riflettono anche nella forma quel carattere dimostrativo che è un po' la minaccia che pesa sul tutto. Che altro non è, come dice il suo titolo, che un sogno. Dilatato nei tempi, esasperato nelle tinte, contraddittorio nei significati, come lo sono i sogni. Quei sogni che, come questo di Kurosawa, si mutano in incubi: e che noi impariamo ad amare ed a odiare nel tempo.
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"I believe that dreams are the expression of the ardent desires that man conceals - when he is awake - in the depths of himself; and that, by freeing himself in his sleep, they materialize in the form of real events. While dreaming, man is a genius. He is as bold and intrepid as a genius. This is what I have been sticking to, filming these eight dreams".
Shot five years after RAN, his epic film inspired by Shakespeare, with the help once again of his American friends Spielberg and Lucas (and Scorsese, who briefly appears as Van Gogh... ), Kurosawa presents us with eight dream-episodes: the first two (IL SOLE SOTTO LA PIOGGIA, e IL GIARDINO DEI PESCHI) are set in the years 1915-20, when the author was a child. The third (TEMPESTA DI NEVE) and the fifth (I CORVI) in the 1930s, when Kurosawa was studying painting. The fourth (THE TUNNEL) is closely linked to the period of trauma caused by the defeat of the Second War. While the last three (IL MONTE FUJI IN ROSSO, IL GEMITO DEI DEMONI and IL VILLAGGGIO DEI MULINI) are the fate of projections into an apocalyptic future (not far from the atmosphere of DODESKADEN) or into an idealised past, in the sense of another masterpiece that was born out of intimism with nature, DERSOU OUZALA.
Spiritual testament of one of the greatest filmmakers of our time, now at the age of 80, DREAMS- SOGNI is the crystallization on the screen of the idea that Kurosawa makes of the dream. And the spiritual testament: the merits - but also the limits - of the film are exactly contained in this chemical process.
Like Fellini, like Bergman, the author of RASHOMON is a visionary. But he is also a realist: thus, the transcription of his dreams sometimes allows him the expressive intuition that leaves you enchanted; but his realism (which psychologically I would say translates into a discreet pessimism about the destiny of contemporary Japan) leads him to continually approach horror to beauty, bitterness, or even despair to serenity. In a counterpoint that continuously marks the film.
Thus, in the first episodes, the childish wonder, barely touched by the first temptations for the forbidden fruit, (the search for the "foxes" who, on rainy days, celebrate their loves where the rainbow ends; the peach orchard in bloom, destroyed by adults, which miraculously reappears from the ritual dance of Spring) is transformed into pure beauty. Here the search for classical perfection, in the use of all the elements available to the director (framing, lighting, colour, editing and so on), far from leading to academicism, achieves that expression of lucid contemplation that derives from a conscious inspiration, from the genuineness of a need that we can only guess at urgently.
In the most extraordinary of the eight episodes, the one inspired by Van Gogh's painting, all this seems suddenly to rise: it is when the protagonist, a young painter (in whom it is easy to recognise the author with his expressive anguish) in search of enlightenment, literally penetrates the pictorial world of the great Dutchman. With a moving and extraordinary act of courage, not only for an 80-year-old creator, the eye of the filmmaker makes its way into the legendary space of the wheat fields, the canals of Provence, the light thirsty farmhouses. The camera as a mental extension, as a sensual viaticum wedges into the layers of paint, between the folds of the brushstrokes, the suggestions of the drawing. These are just a few minutes of DREAMS-DREAMS, technically allowed by the latest electronic devices of the award-winning Geoge Lucas company: but in this interpenetration, at the same time lucid and exalted of the cinematographic space with the pictorial one, we celebrate that rite of artistic intimacy, of collective sublimation with which the artist has always dreamed of getting out of the solitude imposed by his genius.
Here the film is not only the demonstration of an imaginative talent at the service of an ideological balance sheet: it becomes an aesthetic/philosophical reflection on the frontiers that divide the spectator from the representation, the object represented by the reflection that tries - a whole life - to explain it.
All the travail, but also the joyful celebration that is at the basis of every artistic itinerary are condensed in this extraordinary sequence. And in its conclusion: at the end of the journey inside the painting (which is none other than the famous "Field of wheat with crows" painted by Van Gogh a month after his death), while the painter disappears between the yellow of the fields and the black of the sky on the horizon, a black flight of birds, with sudden roar invades the screen. It is not just one of those encounters between visionary and realistic art that mark the Japanese master's career, or the discovery of the frontier between dream and reality: but one of those poetic cries that belong only to the cinema, and that arise when the immediacy of a strictly photographic medium.
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