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DOV'È LA CASA DEL MIO AMICO?
(KHANEH-YE DUST KOJAST?)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 settembre 1990
 
di Abbas Kiarostami, con Babak Ahmadpur, Ahmed Ahmadpur, Khodabakash Defai (Iran, 1989)
 
Chi non avesse visto questa piccola meraviglia nei pochi giorni di proiezione a Lugano, farà ancora in tempo a precipitarsi a Locarno dove il film iraniano, Leopardo di bronzo un anno fa a Locarno, verrà ripresentato in ottobre. Il film di Kiarostami (del quale si è visto quest'anno, sempre a Locarno, CLOSE-UP, storia di un tipo fra il picchiato ed il lungimirante, che cerca di farsi passare a Teheran per un celebre regista: curiosa meditazione - a metà strada tra documentario e la finzione - sui rapporti esistenti fra impostura e creazione cinematografica) è semplice, diretto e sincero, proprio come il suo titolo.

Il soggetto è presto raccontato: un bambino di un villaggio di campagna si accorge che il compagno di banco ha dimenticato - una volta ancora - il suo quaderno con i compiti da fare a casa. Poiché il piccolo amico è già in disgrazia col maestro, si sforza di raggiungerlo nel villaggio vicino, per consegnargli l'oggetto ed evitargli la punizione

Fedele alla regola che dice che un soggetto piccolo arrischia di volare più alto di un altro grandiloquente, fedele egualmente a quell'altra norma che vuole un film praticamente riuscito, se solo si riesce ad accordare la vicenda con l'ambiente che le fa da sfondo, DOV'È LA CASA DELL'AMICO dovrebbe essere proiettato una volta alla settimana in ogni scuola di cinema. E, aggiungiamo, una volta al giorno in quelle dei paesi dal cinema povero (come il nostro, made in CH... ). Poiché è la dimostrazione tranquillamente strabiliante di come con due soldi, duemila idee, ed un cuore da poeta si possa far ciò che è impossibile, in una vita intera, ad un trombone dell'immagine: avvincere con una progressione drammatica, commuovere e provocare con uno sguardo posato sul documento, trascendere la dimensione del contesto. Per uscire a riveder le stelle, della poesia.

Già quel suo modo di farlo correre, il ragazzino, sul filo del sentiero che collega i due villaggi, come in una traccia lasciata dal tempo: Kiarostami idealizza un itinerario (schematizzandolo sullo schermo, un po' come faceva Hitchcock, con i suoi spazi calcolati al millimetro). E questo itinerario guiderà ormai il film, imprimendo alla rincorsa del bambino una tensione, addirittura un suspense, che l'umiltà del raccontino mai avrebbero lasciato presagire. Ma il regista iraniano non si limita a questo: come in un documentario descrive contrade lontane, costumi, psicologie diverse. Poi, come in certe ballate del cinema dell'Est, mette in bocca ai personaggi dialoghi intrisi di humour, e risposte a controsenso.

Che complicano magari, stranianti come sono, la vita al nostro ragazzino: ma finiscono per spedire DOV'È LA CASA DELL'AMICO a metà strada fra la terra (così dura da vivere da quelle parti) e la luna (che un po' della sua luce la riserva pur sempre a tutti).


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