Dopo le mezze tinte del 2015CANNES ALLA RISCOSSA
Sono 49 i film, dei 1869 visionati, che entrano nella Selezione Ufficiale del Festival di Cannes, inaugurato il prossimo 11 maggio dal film di Woody Allen Café Society, fuori concorso. Ma ad ambire alla Palma d'Oro, il riconoscimento artistico più prestigioso nel mondo del cinema, prima ancora degli Oscar, saranno però soltanto 20 cineasti. Centinaia invece le proiezioni: oltre a quelle del Mercato, le due rassegne parallele talvolta altrettanto prestigiose di quelle ufficiali, la Semaine de la Critique, destinata alle opere prime, e la Quinzaine des Réalisateurs. Che ha risollevato il clima depresso del cinema italiano, altrimenti escluso (per la prima volta dal 2007) dai magnifici venti della competizione maggiore: rilanciando subito il primo dei pettegolezzi da Croisette. FAI DEI BEI SOGNI, tratto dal romanzo di Massimo Grimellini e firmato da un maestro come Marco Bellocchio, è sfuggito per la solita svista all'onnipotente patron di Cannes Thierry Fremaux? La Quinzaine conferma così il proprio ruolo di mina vagante: altri due film italiani scartati dal Palais, LA PAZZA GIOIA di Paolo Virzi (reduce da un film notevole come Il capitale umano) e FIOREdi Claudio Giovannesi. E un'offerta da mettere in crisi tanti festival: da NERUDA, attesissimo biopic sul poeta cileno, firmato da un ormai grande sudamericano come Pablo Larrain. Oppure DOG EAT con Nicolas Cage, del glorioso veterano Paul Schrader; o un giovane come il belga di talento Joachim Lafosse (L'ECONOMIE DU COUPLE); e nomi attesi, Jodorowski, Kashiyap, Lifshitz, Anspach, Poitras.
Certo, la Cannes dal tappeto rosso più celebre a mondo può guardare a queste minaccie con una certa sufficienza. Poiché le basta declamare Spielberg, Allen, Almodovar, Dardenne, Dolan, Jarmusch, Penn, Verhoeven, Loach, Dumont, Assayas, Nichols, Winding Refn,, Mungiu, Puiu, Park, Mendoza, Garcia, Arnold, Kore-Eda, Kolirin, Jodie Foster, Serra, Rithy Panh, Vecchiali... Ma c'è del nuovo: certe distrazioni del 2015 hanno lasciato un amaro in bocca. Troppi i film sottovalutati e relegati nella sezione, per certi versi di ripiego, di Un Certain Regard; troppi inseriti nel concorso principale e segnati da un sospetto infamante per Cannes: aver selezionato un titolo per il solo interesse di dare le sue star in pasto ai fotografi.
Una brezza appena accennata, ma infida: dalla quale Cannes 2016 sembra essersi premunita: privilegiando, più che in passato, un certo equilibrio. Certo, i valori sicuri, definiti dai malevoli eterni abbonati; ma che poi, salvo eccezioni, finiscono per mettere d'accordo tutti. Ecco allora JULIETA del grande Pedro Almodovar, assente dal 2013 del poco convincente GLI AMANTI PASSEGGERI, ma in definitiva lontano dall'eccellenza dal 2006 di VOLVER. Ecco qualcuno per il quale ci siamo sbilanciati a usare il termine di genio precoce, in seguito al precedente, straordinario MOMMY. Quest'anno l'esperienza con JUSTE LA FIN DU MONDE sarà tutta da valutare: via dal Quebec e senza i suoi meravigliosi attori, produzione europea, cast stellare ma francese (Cotillard, Seydoux, Cassel, Baye). Poi, Ken Loach: ogni anno annuncia di essere al suo ultimo film. O i fratelli Dardenne del Belgio: che di Palme ne hanno già vinte due. Ma come disdegnare la presenza di questi maestri del realismo? Ancora grandi ritorni fra gli americani: Jeff Nichols, che dopo i suoi splendidi TAKE SHELTER e MUD riappare con LOVING, ambientato nel Sud degli Stati Uniti che gli riesce così bene. E Sean Penn, sempre nell'aria dei tempi, che ha girato LAST FACE in una ONG africana, con Javier Bardem e Charlize Theron. O ancora Jim Jarmusch (PATERSON) che ha pure un secondo film, un documentario su Iggy Pop a mezzanotte.
Cambiali in bianco, in un festival che può mettere in competizione Paul Verhoeven, assente da Cannes dai tempi di BASIC INSTINCT; e poi regalarsi fuori concorso Steven Spielberg (THE BFG) o Jodie Foster (MONEY MONSTER). Ma che quest'anno non ha dimenticato il grande cinema d'autore, prima fra tutte la splendida accoppiata rumena: Cristi Puiu, autore del forte LA MORTE DI DANTE LAZARESCU, e Cristian Mungiu, Palma d'Oro nel 2007 con il memorabile 4 MESI 3 SETTIMANE 2 GIORNI. Autori stimolanti e forse vincenti: come il danese Nicolas Winding Refn (grande nell'esordio di DRIVE), il filippino Brillante Mendoza, il coreano Park Chan-wook, l'inglese Andrea Arnold. E l'infilata francese: Assayas, Nicole Garcia, Guiraudie e soprattutto Bruno Dumont, atteso spasmodicamente dopo l'enorme successo della sua serie televisiva P'TIT QUINQUIN e una mutazione stilistica da camaleonte di genio.
Tutto bello, insomma, se non fosse che per un interrogativo che va facendosi epocale: com'è che dei film comunque prestigiosi di Cannes 2015 avremo rivisto sui nostri schermi non più del dieci percento?