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SOLSTIZIO D'ESTATE
(A LA VERTICALE DE L'ETE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 febbraio 2001
 
di Tran Anh Hung, conTran Nu Yen-Khe, Le Khanh, Nguyen Nhu Quynh (Francia - Vietnam, 2000)
 
Se vi tenta il culto della bellezza e dell'armonia pochi film arrischiano di sedurvi quanto quello del vietnamita Tran Anh Hung. È tutto indicibilmente squisito in SOLSTIZIO D'ESTATE. Squisite, le tre sorelle che si riuniscono ad Hanoi per celebrare con i rispettivi compagni il rito funebre in memoria della madre; sui piccoli segreti dell'intimo delle quali si costruirà il film. Non solo la più giovane, una di quelle bellezze orientali perfettamente astratte ed al tempo stesso dolcemente quotidiane che non si capisce mai quanto accessibili. E belle anche le sorelle maggiori, malgrado siano già segnate da qualche tribolazione esistenziale; ma egualmente nella pienezza della loro femminilità, consapevoli della propria sensualità, della serenità che nasce del loro ruolo sociale, dell'energia tranquilla che scaturisce dalla loro armonia famigliare. E belli pure i maschi: certo, già scalfiti da un'esistenza spiritualmente più incerta di quella delle compagne. Non fosse che per essere tentata (zen o meno, tutto il mondo è paese) dalle solite falene, a prima vista celestiali, poi inevitabilmente problematiche. Bacco, tabacco e poi, via, Venere; che anche gli esteti di quelle parti non ci scappano.

SOLSTIZIO D'ESTATE (che lo zampino, evidente in più di un'occasione della coproduzione francese intitolava con un più suggestivo A LA VERTICALE DELL'ETE) incanterà i cultori di un'estetica raffinata: anche se di un'estetica più che altro fotografica e scenografica. È il limite di un film dalle apparenze sopraffine: che, quando il dramma finisce per agitare (mai troppo) le acque e una delle sorelle apprende che il marito magari se la spassa in trasferta, fa panoramicare la cinepresa lungo la tappezzeria. Dai singhiozzi della poverina, all'angolo opposto della stanza: dove è collocato un vaso di fiori perfettamente ton sur ton.

Il cinema dell'autore di IL PROFUMO DELLA PAPAYA VERDE si dichiara ispirato da Antonioni. Ma più dell'angoscia degli spazi, in esso convive la tentazione per l'immagine leccatina, la trasparenza della luce, la canzoncina della creatura nel bisbiglio della natura, il cinguettare dei sensi e via dicendo. A tratti, la piccola musica compiaciuta se non proprio leziosa del regista vietnamita cresciuto ed educato in Francia (e si vede?) s'iscrive in una musicalità', un'armonia della cadenza che si costruisce con una sua logica. Edonismo e spiritualità', sensualitàe delicatezza finiscono allora per imporsi: solo allora, la costruzione drammatica deliziosamente pigra, sensualmente rilassata, a tratti commossa non si perde, annacquandosi all'interno della ricerca estetica esasperata.


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