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di Xavier Dolan, con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon
(Canada, 2014)
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MOMMY, del prodigio nascente canadese Xavier Dolan (cinque lungometraggi a ventiquattro anni) è un film assolutamente fuori dal comune, nel segno dell'energia di un talento furibondo, . La storia che racconta (ridotta ai minimi termini: un rapporto madre-figlio) è banale e stravista. E' il modo di raccontarla di Dolan a renderla straordinaria, squisitamente cinematografica, difficile da immaginare egualmente esplosiva se espressa altrimenti che dall'occhio di un cineasta attraverso una cinepresa, dal suo intervento sui vari strumenti espressivi a disposizione; e attraverso la follia squisita delle musiche, per sfociare nella resa incredibile degli accenti di verità dei suoi tre straordinari protagonisti. Certo, si tratta pur sempre di un avvenimento eccentrico: un figlio affetto da problemi estremi di relazione fra tenerezza e violenza (tecnicamente: iperattività dovuta a deficit di attenzione) con una madre vedova, disinibita e pure sexy, alla ricerca di ritrovare una vita normale. Certo, in quel duo già di per sé stesso esasperato s'introduce poi un'inaspettata vicina, per temperamento agli antipodi, che completerà un universo quotidiano esaltato, spassoso e paradossale, sempre più toccante. Ma è la qualità dello sguardo di Dolan, la sua sfrontata sete di libertà espressiva e al tempo stesso la sua partecipazione emotiva e psicologica a un tema che s'indovina sofferto e personale a creare l'unicità memorabile nell'atmosfera del film. Dove il coraggio, ma anche la maestria (senza la quale il primo non sarebbe altro che incoscienza) permettono di andare a sfidare i limiti. Senza mai oltrepassarli: ai confini fra melodramma e provocazione, violenza e dolcezza, esasperazione e lirismo.Classicismo del tema e sperimentazione della forma. Ogni inquadratura, ogni salto di montaggio racconta una storia compiuta. Che Dolan costringe con i suoi personaggi in un formato quadrato (1:1), simile a quello delle vecchie Polaroid; per poi, nei momenti più lirici e coinvolgenti riallargare lo schermo, in un anelito di libertà, di un'emozione confondente Ma il prorompente potere emotivo di MOMMY nasce dal fatto che (contrariamente di quanto accade, ad esempio, nell'oscarizzato BIRDMAN di questi giorni) l'estremo ed evidente virtuosismo del cineasta, l'interesse o l'entusiasmo suscitato dalla sua ricerca espressiva, non avviene mai a detrimento di una identificazione da parte dello spettatore negli umori dei personaggi. Trascorsa una parte del film che a qualcuno apparirà anche fin troppo scopertamente disinvolta (e il doppiaggio crudo della versione italiana regolarmente mortifica la versione originale, con il suo francese del Quebec che volutamente tende a sfumare) l'ultima mezz'ora di MOMMY è sconvolgente e meravigliosa: non solo per il suo finissimo processo emotivo (che evidentemente non vi racconto) ma per l'intelligenza della sua ansia crescente, la lucidità implacabile delle conclusioni psicologiche, la commozione poetica raggiunta. Nelle immagini sempre solari del film dilaga allora il grigio, cadono come mazzate le prime gocce di pioggia; è la fine del sogno, il ritorno alla realtà, al cinismo delle leggi sociali. Xavier Dolan ama dirlo: sono i nostri sogni che possono cambiare il mondo. Ma poi aggiunge: il solo amore è insufficiente: se non è condiviso, se non si ha la forza di sostenerlo, se la società lo respinge. E' forse per questo che la gioia di creare, la libertà nella ricerca artistica, lo sprezzo del rischio espressivo, la tenerezza dietro l'impudenza impregnano MOMMY di una esaltazione commossa che il cinema sembrava avere perduto.
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