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TRIANGLE OF SADNESS
(SANS FILTRE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 novembre 2022
 
by Ruben Östlund, with Harris Dickinson, Charlbi Dean Kriek, Woody Harrelson, Vicki Berlin, Henrik Dorsin (Svezia, 2022)
 

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Ruben Ostlund è sulla cresta dell’onda avendo ricevuto per Triangle of Sadness una seconda Palma d’Oro a Cannes. Non è successo spesso, otto volte soltanto dalla creazione nel 1946 del maggior festival di cinema al mondo. Dapprima ad un altro svedese,, Alf Sjoberg,, quindi a Francis Ford Coppola, al giapponese Shoei Imamura, ad Emir Kusturica, Bille August, i fratelli Dardenne, Ken Loach e Michael Haneke.

Ostlund nel 2004 aveva già vinto il premio Fipresci al Festival di Mosca, due anni dopo era al Certain Regard di Cannes, nel 2011 con Play scandalizzava la critica descrivendo ciò che era successo poco prima a Göteborg. Una banda di ragazzini immigrati di colore sfruttava da tempo i loro coetanei bianchi; ma in un’equivoca alternanza fra vittime e persecutori…Infine Turist (Forza maggiore,) gli permetteva una nuova provocazione: una valanga sorprendeva una famiglia svedese in vacanza nelle Alpi  sulla soglia di un ristorante. Con il capofamiglia che se l’era data a gambe, incurante del resto della famiglia.

Nel 2017 la prima Palma, The Square. L’altruismo, tema costante, ancora in sottofondo di una satira, a tratti irresistibile, sull’universo dell’arte. Ma accanto si accentua la provocazione, in un film di quasi tre ore. Lo spazio nordico, cosi razionale, raffinato e lustro, contrasta perô mirabilmente con la dissacrazione. Destinata a sfociare nella paura e nell’amarezza, in un tono particolare, un rigore espressivo nel frugare l’ambiguità del conformismo, evitando la satira risaputa.

Ecco le premesse a Triangle of Sadness. Ma il rigore si è ora sciolto nelle due ore e mezza di una sorta di farsa anticapitalista venata da una insistita, malcelata presunzione. Sul panfilo di lusso dell’episodio centrale, il modello era probabilmente uno dei capolavori di Marco Ferreri, La grande abbuffata. Ci arriveremo dopo l’esordio della pellicola nell’universo, non proprio originale, delle sfilate di moda. E’ l’incontro in crociera di un gruppo di multimilionari e ormai dilaganti influencer, tutti destinati ad affrontare un prevedibile naufragio che condurrà all’isola apparentemente deserta.

Perché no, dopo tutto. Se non fosse che la qualità dello sguardo del cineasta trascende ormai ad ogni istante da quella tragicomica descrizione delle lotte di classe e sfracelli esistenziali. Si discioglie ogni liquame, in una progressione fuori misura delle metafore, che dai personaggi accomunati alle latrine viene travolta con la tempesta assieme al film.

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Ruben Ostlund is on the crest of a wave having received a second Palme d'Or at Cannes for Triangle of Sadness. This has not happened often, eight times alone since the creation in 1946 of the world's largest film festival. First to another Swede, Alf Sjoberg, then to Francis Ford Coppola, Japan's Shoei Imamura, Emir Kusturica, Bille August, the Dardenne brothers, Ken Loach and Michael Haneke.

Ostlund had already won the Fipresci prize at the Moscow Film Festival in 2004, two years later he was at the Certain Regard in Cannes, and in 2011 with Play he scandalised the critics by describing what had happened shortly before in Gotheborg.. A gang of black immigrant kids had been exploiting their white peers for a long time; but in an equivocal alternation between victims and persecutors...Finally Turist allowed him a new provocation: an avalanche surprised a Swedish family on holiday in the Alps on the threshold of a restaurant. With the head of the family having run away, heedless of the rest of the family.

In 2017, the first Palm, The Square. Altruism, a constant theme, still in the background of a satire, at times irresistible, on the universe of art. But alongside it, provocation is accentuated, in a film of almost three hours. The Nordic space, so rational, refined and lustrous, contrasts admirably with the desecration. Destined to result in fear and bitterness, in a particular tone, an expressive rigour in poking at the ambiguity of conformism, avoiding the familiar satire.

These are the premises of Triangle of Sadness. But the rigour has now dissolved into the two and a half hours of a kind of anti-capitalist farce tinged with an insistent, ill-concealed conceit. On the luxury yacht of the central episode, the model was probably one of Marco Ferreri's masterpieces, La grande abbuffata. We will come to this after the film's debut in the not exactly original universe of fashion shows. It is the cruise meeting of a group of multimillionaires and now rampant influencers, all destined to face a predictable shipwreck that will lead to the seemingly deserted island.

Why not, after all. Were it not for the fact that the quality of the filmmaker's gaze now transcends the tragicomic depiction of class struggles and existential shambles at every turn. It dissolves all sewage, in an outsized progression of metaphors, which from the latrine-like characters is swept up in the storm along with the film.

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