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LOGAN-THE WOLVERINE
(LOGAN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 13 marzo 2017
 
di James Mangold, con Hugh Jackman, Patrick Stewart, Dafne Keen, Richard E. Grant (Stati Uniti, 2016)
 

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Logan–The Wolverine appartiene al filone cinematografico, non sempre esaltante, definito dei supereroi. Per sua fortuna, rimonta però nell’ispirazione ai tempi della Marvel Comics, i gloriosi fumetti glor_iosi che, a partire dal 1939, portarono alla luce l’Uomo Ragno, Hulk, gli X-Men, Conan il barbaro e tanti altri ancora. Prima di finire, nel 2009, nell’accogliente calderone della Disney. Salvo (probabili) ripensamenti, questo Logan dovrebbe poi rappresentare l’atto finale di una serie dei dieci film creati sugli X-Men; oltre che la conclusione del trittico composto da X-Men le origini-Wolverine (2009) e Wolverine-L'immortale (2013). Dettaglio forse ancor più rilevante per la legione di fedelissimi della saga sparsi in tutto il mondo: Logan rappresenta anche l’ultima apparizione di Hugh Jackman nei panni sempre più sdruciti del mutante Wolverine, oltre che di Patrick Stewart in quelli del Professor X.

Tutte questa scadenze, aggiunte alla recidiva di un regista ambizioso e in parte sottovalutato come James Mangold ((Walk the Line, su Johnny Cash), hanno finito per produrre effetti benefici. Alquanto dissacrato in questa terza avventura e a 140 anni dalla sua nascita, il leggendario mutante dagli artigli d’acciaio si ritrova a fare l’autista di limousine: invecchiato, ammaccato, compromesso nella celebre invulnerabilità da un virus che ne ha intaccato la corazza di adamantium (siamo nel 2029). Verrà facilmente localizzato, nei pressi del confine con il Messico, dagli inseguitori guidati dal raccapricciante sperimentatore dottor Zander Ric. Seppure costretto a prendersi cura del suo vecchio professore (in pratica, padre virtuale) morente, riscoprirà una propria umanità, proteggendo con le sue ultime energie Laura, la ragazzina dotata, a sua somiglianza, di strabilianti poteri soprannaturali.

Così, e senza abdicare ai tradizionali effetti iper-violenti (avviso agli allergici) del sanguinoso realismo marveliano, quest’ultimo è infinitamente preferibile all’ennesima action movie. Interiorizzato, tutto agli antipodi dei sempre meno eccitanti effetti speciali precedenti, il film è quasi un melodramma. Pure un western, accorato e crepuscolare, non privo di momenti intimi, sulle tracce melanconiche di pellicole come Gli Spietati di Clint Eastwood. Di un capolavoro come  Shane di George Stevens (1953), certamente ignorato dalle nuove generazioni, e qui doverosamente rievocato in sottofondo.

Un po' prevedibile nella violenza e monocorde come road movie, Logan è saggiamene discreto nei trucchi. Sorprendentemente politico e attuale nel suo modo di costringerci a riflettere sulla crudele assurdità dei confini. Nel ripeterci, nel suol bel finale, quanto poco fantasiosi siano quei giovani migranti costretti ad affrontare l’eterna condizione del diverso.

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Logan-The Wolverine belongs to the not always exciting cinematic strand defined as superheroes. Luckily for him, however, he goes back in inspiration to the days of Marvel Comics, the glorious comic books that, starting in 1939, brought forth Spider-Man, the Hulk, the X-Men, Conan the Barbarian and many more. Before ending up, in 2009, in the cosy Disney cauldron. Barring (probable) second thoughts, this Logan should then represent the final act in a series of the ten films created on the X-Men; as well as the conclusion of the triptych composed of X-Men the Origins-Wolverine (2009) and Wolverine-The Immortal (2013). A detail perhaps even more relevant for the saga's legion of loyalists around the world: Logan also represents the last appearance of Hugh Jackman as the increasingly frayed mutant Wolverine, as well as Patrick Stewart as Professor X.

All these deadlines, added to the recurrence of an ambitious and somewhat underrated director like James Mangold ((Walk the Line, about Johnny Cash), ended up producing beneficial effects. Quite desecrated in this third adventure and 140 years after his birth, the legendary steel-clawed mutant finds himself as a limo driver: aged, bruised, his famous invulnerability compromised by a virus that has eroded his adamantium armour (this is 2029). He is easily located, near the Mexican border, by pursuers led by the creepy experimenter Dr Zander Ric. Although forced to take care of his dying old professor (in practice, virtual father), he will rediscover his own humanity, protecting with his last energies Laura, the little girl endowed, in his likeness, with amazing supernatural powers.

Thus, and without abdicating the traditional hyper-violent effects (warning to allergy sufferers) of bloody Marvel realism, the latter is infinitely preferable to yet another action movie. Interiorized, all at the antipodes of the less and less exciting previous special effects, the film is almost a melodrama. Pure western, heartfelt and dusky, not without intimate moments, on the melancholic trail of films like Clint Eastwood's The Merciless. Of a masterpiece like George Stevens' Shane (1953), certainly ignored by new generations, and here dutifully evoked in the background.

A little predictable in its violence and monotonous as a road movie, Logan is wise in its tricks. Surprisingly political and topical in the way it forces us to reflect on the cruel absurdity of borders. In repeating to us, in its beautiful finale, how unimaginative those young migrants forced to face the eternal condition of being different are.

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