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LA TIGRE E LA NEVE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 ottobre 2005
 
di Roberto Benigni, con Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Jean reno, Tom Waits (Italia, 2005)
 
Adoro, come (quasi) tutti voi, Roberto Benigni. Con la sua impertinenza che genialmente lievita in trasgressione, l'irresistibile verve comica dalla quale affiora costantemente la lucidità di una intelligenza, l'acume della satira che scalfisce puntualmente il contemporaneo, il sociale e il politico, la tenerezza romantica nella quale si svela ed al tempo stesso si sdrammatizza una sua a prima vista insospettata cultura. Dai tempi delle sue prime apparizioni, una destabilizzazione unica e salutare nel conformismo stagnante, talvolta vivace ma di certo furbo dell'Italia dei nostri tempi.

Com`è, allora, che questo inestimabile capitale tende a diluirsi, ahimè in maniera progressiva, nelle sue (pur tanto attese, privilegiate, reclamizzate) fatiche cinematografiche? LA VITA E' BELLA fu il risultato di una incredibile scommessa: non quella di far ridere sulla più grande tragedia del secolo scorso come dissero alcuni malintenzionati, ma di riuscire quello straordinario atto di fede nel potere dell'Utopia che consiste di far morire sul serio chi era uso far morire dal ridere. Ma già PINOCCHIO soffriva dei mali che affliggono ora questo LA TIGRE E LA NEVE: alla generosità con la quale il personaggio e l'attore si offrono alla cinepresa, all'entusiasmo impetuoso dei messaggi che affida a delle vicende apparentemente fatte apposta per suscitare l'adesione non corrispondono alla fine adeguate ricompense. Alla favola venerata da mezzo mondo dell'essere rinchiuso nel legno che acquista il piacere di desiderare e di godere, di liberarsi e di sovvertire le regole come a quella, pure universale, dell'onnipotenza dell'amore apportatore di vita, della fede e dell'ottimismo come chiave per risolvere il dramma individuale di una moglie caduta in coma irreversibile nell'inferno dell'Irak dei nostri giorni aderiamo, ci mancherebbe, pienamente. Ma con una specie di distacco ammirato che non credo proprio sia da sempre il genere di reazione che il nostro intende suscitare fra i suoi spettatori.

Il dramma dell'Irak come l'orrore dei campi di concentramento è il territorio paradossale nel quale portare la consolazione dell'ottimismo,dell'amore e della poesia. Ma se il film funziona solo a metà non è tanto per i limiti dell'invenzione registica, le insistenze della sceneggiatura o la scelta degli attori (Jean Reno che fa il filosofo islamico; la legittima, ma sempre più invadente icona Nicoletta Braschi quale fulcro di ispirazione espressiva e drammatica). E' che amore, grazia, poesia sono tutte cose belle, ma terribilmente fragili. A troppo inseguirle, invocarle, affermarle finiscono per sfilare come sabbia fra le dita: fino a rendere, bel paradosso, addirittura buonista il messaggio dell'omino furfantello.


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