La storia di Victor che non riesce a dire di si a Victoria, e che nel bosco infila l'anello inutilizzato in un ramoscello secco e si ritrova proiettato nel mondo dei morti, sposo di una donna che lo attendeva da sempre. Ribaltamento solo in apparenza funereo; e cosi congeniale al cinema del doppio dell'autore, delle sue morali a contro impiego, di quelle certezze che valgono quanto il loro contrario delle fiabe. Nelle quali il bene ed il male, i buoni ed i cattivi non lo sono (anche se ancora per poco) che a metà. Ecco allora che è il mondo dei vivi ad essere grigio e cinico nella rigidità della sua ambientazione vittoriana; mentre quello dei morti è colorato e generoso, allegramente contorto come l'architettura di Gaudi alla quale gli autori si sono riferiti. L'universo macabro-fantastico che diviene dapprima referenziale ad un'iconografia cinematografica costantemente sottintesa, quindi e quasi inesorabilmente poetico: uno spazio dall'originalita' delirante, nel quale il cinema di Burton entra di prepotenza, con i suoi movimenti di macchina, i suoi stacchi o effetti di montaggio. Proprio come stesse fra i vivi; e non fra i presunti inerti del cinema di animazione.