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LA GUERRA DEI MONDI
(WAR OF THE WORLDS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 agosto 2005
 
di Steven Spielberg, con Tom Cruise, Tim Robbins, David Alan Basche, Dakota Fanning, Justin Chatwin, Mirando Otto (Distrib. NETFLIX) (Stati Uniti, 2005)
 

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Tra uno dei suoi slanci di benevolo ottimismo (da E.T. al precedente THE TERMINAL), le ricadute nel catastrofismo anticipatorio-depressivo (MINORITY REPORT) e la preziosa costante della mutazione della paura materiale in ben più critica e rivelatrice inquietudine metafisica ( dai primi tempi subito geniali di DUEL e di LO SQUALO) pare che Steven Spielberg avesse in mente da tempo di portare sullo schermo il capolavoro di H.G. Wells. Ma ne ritardasse l'operazione in seguito all'uscita, a metà degli anni Novanta, di INDEPENDENCE DAY. Saggia decisione: poiché, perlomeno a prima vista LA GUERRA DEI MONDI riprende formule e trovate della serie stranota si salvi chi può, sbarcano gli alieni e non si tratta di brava gente.


Ma che Steven Spielberg non sia fra gli autori di schemini insopportabilmente identici di una una produzione americana in altri tempi ben più stimolante è cosa risaputa. Certo, sarebbe stato saggio tralasciare in LA GUERRA DEI MONDI la filosofia spicciola che piomba soprattutto la seconda parte del film. Ammoscio e rivalutazione del maschio USA (molti criticano Tom Cruise, ma poveraccio cos'altro poteva cavarci?), addetto ai figli educati col panino al ketchup ma che finisce a cazzotti con l'alieno gelatinoso; ineluttabilità della violenza quando si tratta di salvare l'umanità, preferibilmente occidentale, e legittimità pacifista di sorvolare sugli stessi principi per eliminare il fascista inveterato; reiterati riferimenti alle contraddizioni bushiane ormai d'obbligo dopo l'11 di settembre. E quel pasticciato, più che logicamente ricollegato al culto tradizionale della paranoia nazionale, continuo riferimento ai nemici invisibili che già da “prima” si annidavano nel sottosuolo della Patria. Messaggi pachidermici, dei quali ogni autore americano con la maiuscola sembra ormai non poter fare a meno. E che impediscono al film di far parte dei capolavori di un cineasta che guarda comunque dall'alto di una qualità di scrittura il novantacinque percento dei faccendieri imperanti.


Un po' sorprendentemente costruito su una iconografia che scivola talora sull'horror più che sul catrastofismo LA GUERRA DEI MONDI conserva infatti intatto tutto quel piacere di filmare che ha reso celebre il proprio autore. Quell'ingenuità, certo piuttosto amareggiata dai tempi di E.T. del fanciullone meravigliato e capace di meravigliare, quasi stupito dal portentoso giocattolo che si ritrova fra le mani. In quella road-movie di papà Cruise e figlioli più o meno sopportabili assieme all'umanità disperata in fuga per le campagne dopo la comparsa dei tripodi terrificanti ritroviamo allora i soliti personaggi spielberghiani. Assolutamente banali: ma cosi simili a quelli dei Ford e degli Hitchcock; cosi utili quando giungerà il momento di riscattarli dal loro grigiore borghese. Come sempre (il camion di DUEL, Le auto di SUGARLAND, lo squalo di JAWS, i vascelli di INCONTRI, i vagoncini di INDIANA JONES, i lucertoloni di JURASSIC), tutto si riduce ad una dinamica formidabile, che non deve più di tanto agli abusati effetti digitali: e all'interno della quella personaggi e avvenimenti si traducono in una fuga in avanti, in una sorgente continua di energia. Percorso geografico che si fa iniziazione morale; e che il regista arricchisce d'intuizioni sempre fantastiche, un treno che transita sconvolto dalle fiamme, i cieli temporaleschi percorsi dai fulmini non più liberati nei tuoni, il fremito degli stormi oscuri sopra la foresta che annuncia l'arrivo delle macchine aliene, il mare che si gonfia sotto la nave traghetto.


Vero è che tutta quella dinamica, incredibilmente trascinante anche per il più disincantato degli spettatori, si stempera in un happy-end non proprio all'altezza. Ma quella spiega sui nostri buoni batteri che finalmente riusciranno a salvarci da una situazione apparentemente priva di ogni speranza non rappresenta, ad essere onesti, la trovata del solito sceneggiatore sdraiato sulla spiaggia di Malibù. Ma la conclusione di H.G. Wells, nato a Bromley, Kent nel 1866….

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Between one of his outbursts of benevolent optimism (from E.T. to the previous THE TERMINAL), the relapses into anticipatory-depressive catastrophism (MINORITY REPORT) and the precious constant of the mutation of material fear into much more critical and revealing metaphysical disquiet (from the immediately brilliant early days of DUEL and THE SHARK), it seems that Steven Spielberg had long been planning to bring H.G. Wells' masterpiece to the screen. But he delayed it following the release of INDEPENDENCE DAY in the mid-1990s. This was a wise decision: since, at least at first sight, THE WAR OF THE WORLD takes up formulas and gimmicks from the weird series Save Yourself, aliens land and they are not good people.


But the fact that Steven Spielberg is not among the authors of unbearably identical outlines of a much more stimulating American production is well known. Of course, it would have been wise to leave out in THE WAR OF THE WORLDS the trivial philosophy that plagues above all the second part of the film. Admiration and re-evaluation of the US male (many criticise Tom Cruise, but what else could he get out of the poor guy?), in charge of children brought up with ketchup sandwiches but who end up in a fistfight with the gelatinous alien; the inevitability of violence when it comes to saving humanity, preferably western, and the pacifist legitimacy of overriding the same principles to eliminate the inveterate fascist; repeated references to the Bushi contradictions now obligatory after 9/11. And that bungled, more than logically linked to the traditional cult of national paranoia, continuous reference to the invisible enemies that have been lurking in the underground of the Fatherland since before. Pachydermic messages, which every American author with a capital letter seems to be unable to do without. And which prevent the film from being one of the masterpieces of a filmmaker who nonetheless looks down on ninety-five per cent of the prevailing auteurs from a high quality of writing.


Somewhat surprisingly built on an iconography that at times slips into horror rather than cathartic, WAR OF THE WORLD keeps intact all that pleasure of filming that made its author famous. That naivety, admittedly rather bitter since the days of E.T., of the young boy who is amazed and capable of wonder, almost amazed by the marvellous toy he finds in his hands. In that road-movie of dad Cruise and his more or less bearable children together with the desperate humanity fleeing through the countryside after the appearance of the terrifying tripods, we find the usual Spielbergian characters. Absolutely banal: but so similar to those of Fords and Hitchcocks; so useful when the time comes to redeem them from their bourgeois greyness. As always (the truck in DUEL, the cars in SUGARLAND, the shark in JAWS, the ships in MEETINGS, the wagons in INDIANA JONES, the lizards in JURASSIC), everything is reduced to a formidable dynamic, which does not owe much to the abused digital effects: and within that characters and events are translated into a forward flight, into a continuous source of energy. A geographical journey that becomes a moral initiation, and which the director enriches with intuitions that are always fantastic: a train passing through ravaged by flames, stormy skies crossed by lightning no longer released in thunder, the quivering of dark flocks above the forest announcing the arrival of alien machines, the sea swelling under the ferry.


It's true that all that dynamic, incredibly enthralling even for the most disenchanted of viewers, dissolves into a happy ending that is not quite up to scratch. But that explanation about our good bacteria that will finally manage to save us from a situation apparently devoid of any hope is not, to be honest, the stunt of the usual screenwriter lying on the beach in Malibu. But the conclusion of H.G. Wells, born in Bromley, Kent in 1866 .

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