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STORIA DI CONFINE Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 ottobre 1972
 
di Bruno Soldini e Marco Nessi, con Mario Garriba, Giampiero Albertini, Francesca Romana Coluzzi, Ezio Sancrotti, Pino Bernasconi (Svizzera, 1972)
 

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Sorprendente, ancor che tipica opera prima, dai molti pregi e dagli inevitabili difetti. Ma, proprio perché tale, quanto importano più i primi dei secondi! L'abbinata Soldini - Nessi ha innanzitutto sfatato una leggenda: quella che il nostro paesaggio sia anti-cinematografico, in quanto stereotipato. La loro storia di guardie più o meno bonaccione e di ladri di certo poveracci, i loro quadri di vita di confine che si vogliono illustrazione distaccata, emblematica, sono splendidamente inseriti in un ambiente che si fa di conseguenza costantemente significativo. Certi crinali, certi dossi intravisti nella nebbia, certe cascine perfettamente squadrate in una luce a tratti fredda, a tratti dolce, certe spruzzate di neve che disegnano le curve dei prati e gli ostacoli dei massi, non solo ci restituiscono intatto il fascino del paesaggio prealpino a noi così familiare. Ma soprattutto servono in modo impeccabile i risvolti morali della vicenda. In poche parole, il paesaggio ticinese possiede un proprio significato cinematografico autentico. Oltre che ai calendari di Natale può servire anche a delle cose più serie: per scoprirlo ci è voluto questo primo lungometraggio interamente ticinese.


Un altro merito di Bruno Soldini (figlio di doganiere) e di Marco Nessi è di essere riusciti a sfuggire all'aneddoto, ad aprire al contrario il loro film, in sede di sceneggiatura, a dei significati più ampi, a portare il discorso su dei valori emblematici, simbolici, così da elevarlo a livello di riflessione sulla condizione eterna dell'uomo. Su coloro che, spesso a caso, si sono trovati da questa o dall'altra parte della rete. Intenzioni ammirevoli e piu che condivisibili in un cammino irto di difficoltà. Che presuppone perfezione di toni, compiutezza di linguaggi a tutti i livelli della creazione cinematografica ardui da azzeccare nell'opera di esordio, con mezzi e tempi limitati.


E sono proprio certi sbalzi di tono, certa discontinuità dell'atmosfera a minacciare quella bella sfera di cristallo. La post-sincronizzazione non sempre riesce a fondere i suoni del film con le immagini, la direzione degli attori (Garriba, che era perfetto nel film premiato lo scorso anno a Locarno, arrischia qui a tratti di andare fuori registro) passa dai toni grotteschi, quasi bozzettistici ad altri distaccati, o drammatici, o simbolici.


Il film alterna così momenti di posseduta, autentica espressività (si pensa, perchè no, al cinema dei fratelli Taviani), ad altri di maggiore incertezza, dove le psicologie dei personaggi e le intenzioni ideologiche non necessariamemnte coincidono. Ma, pur con tutte queste riserve che forse sono soltanto di mestiere, agli autori va riconosciuto innanzitutto di avere evitato la strada della facilità. Cosa che non accade tutti i giorni, specie da noi. E di averla percorsa con una lucidità espressiva a dir poco incoraggiante.

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     Surprising, even if it is a typical first work, with many merits and inevitable flaws. But precisely because it is a first film, how much more important are the former than the latter! The Soldini-Nessi pairing has first of all dispelled a legend: that our landscape is anti-cinematographic, in that it is stereotypical. Their story of more or less good-natured guards and certainly poor thieves, their pictures of border life that are meant to be detached, emblematic illustrations, are splendidly set in an environment that consequently becomes constantly significant. Certain ridges, certain humps glimpsed in the fog, certain farmhouses perfectly squared in a light that is sometimes cold, sometimes gentle, certain sprinklings of snow that trace the curves of the meadows and the obstacles of the boulders, not only restore the charm of the pre-alpine landscape that is so familiar to us. But above all, they impeccably serve the moral implications of the story. In short, the Ticino landscape has its own authentic cinematic significance. As well as Christmas calendars, it can also be used for more serious things: it took this first feature film made entirely in Ticino to discover this.

Another merit of Bruno Soldini (the son of a customs officer) and Marco Nessi is that they have managed to escape from anecdotes, to open up their film, in the script, to broader meanings, to bring the discourse to emblematic, symbolic values, so as to raise it to the level of a reflection on the eternal condition of man. On those who, often by chance, have found themselves on this side or the other. Admirable intentions and more than shareable in a path fraught with difficulties. This presupposes perfection of tone, completeness of language at all levels of cinematographic creation, which is difficult to get right in a debut work, with limited means and time.

And it is precisely certain changes of tone, certain discontinuity of atmosphere that threaten that beautiful crystal ball. The post-synchronisation does not always succeed in merging the film's sounds with the images, and the direction of the actors (Garriba, who was perfect in last year's Locarno award-winning film, risks going off-key here at times) moves from grotesque, almost sketchy tones to others that are detached, dramatic or symbolic.

The film thus alternates between moments of possessed, authentic expressiveness (one thinks, why not, of the Taviani brothers' cinema) and others of greater uncertainty, where the characters' psychologies and ideological intentions do not necessarily coincide. But even with all these reservations, which are perhaps only of a professional nature, the authors must be acknowledged for having avoided the path of ease. Something that does not happen every day, especially here. And they have done so with an expressive lucidity that is, to say the least, encouraging.

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