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di Federico Fellini, con Peter Gonzales; Fiona Florence; Britta Barnes; Alvaro Vitali; Fëdor Scialiapin; Federico Fellini; Anna Magnani; Gore Vidal
(Italia, 1972)
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Di Federico Fellini, questo mostro cinematografico, il regista per eccellenza, quello con il quale qualsiasi attrice risponde immancabilmente che vorrebbe girare, di Fellini sappiamo tutto, da molto tempo. Dal tempo dei I VITELLONI, forse. E da allora siamo soddisfatti quando qualcosa dei suoi film ci ricorda I VITELLONI. Oppure diciamo: se solo Fellini tornasse a fare dei film come I VITELLONI
Tutto questo perché? Fellini, anche questo lo si sa, continua a fare lo stesso film. Ma anche molti artisti, fra i più grandi della storia ed in ogni campo, hanno per tutta una vita rifatto il medesimo quadro, o la stessa sinfonia: e non per questo la loro valutazione artistica ne è risultata diminuita. Anzi, si è visto in questa continuità, una logica, la prova di una evoluzione controllata, di una maturità creativa superiore. Eppure con Fellini questo continuo ritorno allo stesso tema, alla stessa materia d'ispirazione, questo continuo ridipingere sé stesso (che pur dovrebbe essere un logico, accettato esempio di autenticità, di genuinità artistica: "si deve girare soltanto le cose che si sentono congeniali", dichiara egli stesso nel film) finisce per esasperare. Onestamente bisogna riconoscerlo: dietro l'ammirazione per l'illustratore talora geniale, per il creatore di atmosfere talora straordinario, per la personalità indubbiamente straripante, per l'intelligenza e la raffinatezza del compositore, nasce facilmente l'irritazione, se non la noia, forse per quella stessa fertilità, per quella facilità di creare e di estrovertite tipicamente latina. Per quel compiacimento, come si è detto giustamente, nei confronti della propria arte, della propria abilità, del proprio personaggio. ROMA è da questo punto di vista uno dei migliori tra gli ultimi Fellini. Perché, al contrario del SATYRICON o, soprattutto, dell'insopportabile GIULIETTA DEGLI SPIRITI, Fellini ritrova dei momenti di pura, feconda ispirazione. Film interessante proprio per questa sua disuguaglianza, "ROMA" propone a tratti il Fellini più risaputo, compiaciuto, o forse, più semplicemente, svuotato d'estro creativo: certe sequenze come quella della sfilata ecclesiastica o quella sulla contestazione giovanile; la seconda parte della pellicola in genere. Altre, invece, nelle quali sembra ritrovare una seconda giovinezza, un piglio ed una originalità della visione, una freschezza dell'invenzione che sembravano scomparse definitivamente. E parlo delle sequenze, squisite, della pensione, del teatro d'avanspettacolo: piene di un'accorata malinconia, di una intelligenza compositiva. O di quella iniziale dell'autostrada, insperatamente amara e critica. Il meglio ed il peggio uno accanto all'altro: più che mai nell'opera del celebre regista, le contraddizioni che la distinguono sono perfettamente, esemplarmente confrontate.
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capolavoro
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