UN FLIC è l'ultima opera di una carriera che sembra in continua discesa. Eppure Melville era stato uno dei pochi ad afferrare la lezione del miglior cinema «poliziesco» americano: nessuno come lui sapeva scovare la solitudine di un individuo nei racconti, notoriamente stereotipati, di rapine e di traffici illegali. O dipingere certi ambienti delle grandi città, i locali notturni quando si svuotano, le pensioni equivoche, le strade all'alba. E trattare il colore con fine sensibilità, una ricerca di grigi, di verdi e di azzurri smorzati che gli servivano per sottolineare molto bene il vuoto angoscioso che i suoi personaggi trovavano dietro allo splendore delle insegne luminose.

Anche in UN FLIC c'è un'alba sui Champs Elisées nel finale, ed una morte che poteva servirgli per nobilitare un racconto zeppo di incredibili insulsaggini, di luoghi comuni clamorosi, di sensazioni risapute fino alla noia. Ma Melville spreca anche questa occasione; Delon è ben lontano dalla personalità che Melville aveva saputo donargli nel SAMURAI, Deneuve si rigira nella propria gelida indifferenza.