Fino a che punto è stato lo spirito maligno del Settecentesimo ad ispirare a Reusser quest'operetta postmoderna sui temi del folclore romando? Come in DERBORENCE, Reusser filma la montagna con una sensualità golosa che lo fa sfociare in quel mondo prezioso che è il Fantastico. Ed il kitsch è pure presente con bella intuizione (sapienza dell'illuminazione). Ed ancora: riconosciamogli una bella dose di coraggio, se non d'incoscienza. Ma la materia (la musica, la vicenda, la suite corale e strumentale di Carlo Boller e Fernand Ruffieux) è del tutto estranee alla nostra psicologia: e la scrittura, la ricerca del kitsch non debordano a sufficienza per farci digerire l'ingombro di un'operetta d'époque, più vicina alla Festa dei Vignerons che, ahimè, ai capolavori di Jacques Demy.