Fumagalli
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Scorsese, con il suo film più ambizioso e più ricco, conferma i propri meriti ma anche i propri limiti. Egli ha la medesima padronanza tecnica del mezzo dei suoi tre amici celebri, Spielberg (LO SQUALO), Lucas (GUERRE STELLARI) e De Palma (CARRIE) ma minor genio ed eventuale sregolatezza. NEW YORK, NEW YORK rappresenta per il ragazzino di "LittIe Italy" la tesi di laurea, quella che serve per entrare nell'olimpo di Hollywood. Con bella disinvoltura egli passa così dalle strade lucide di pioggia, dal cinema di apparente critica sociale di MEAN STREETS e di TAXI DRIVER, alle moquettes soffici di New York New York. I pieni voti della laurea Scorsese se li guadagna con i primi tre quarti d'ora del film. È il giorno della fine della guerra, e nell'atmosfera supereccitata delle strade e delle sale da ballo di New York, il reduce Robert de Niro tenta di rimorchiare una riluttante Liza Minnelli, al suono, dell'orchestra di Tommy Dorsey. È una specie di lunghissima introduzione al film: solo dopo questi tre quarti d'ora si comprenderà come de Niro sia un musicista di jazz "puro" (con tutta la tradizionale tematica dell'emarginazione sociale, razziate, esistenziale), mentre Liza Minnelli rappresenta l'establishment, il futuro successo nella commedia musicale di Hollywood e Broadway.
Tutta la lunghissima sequenza della difficile conquista di de Niro dimostra il grandissimo mestiere di Scorsese. Il film è montato (e coordinato sulla musica d'ambiente) con una fluidità, un ritmo, una perfezione inappuntabile. C'è la grande tradizione americana per la direzione degli attori e delle scene di massa, con i figuranti che entrano ed escono dallo schermo. E ci sono, come sempre fra i "giovani", le citazioni di opere celebri, e i tocchi "poetici". Come quello della coppia che balla senza musica, nelle strade, alla luce riflessa di un treno che passa. E poi c'è Robert de Niro, Che è assolutamente straordinario. Un mostro di concisione ed efficacia mimica,- di senso della misura, di humour. De Niro si afferma di film in film (è ancora recente il ricordo di GLI ULTIMI FUOCHI - THE LAST TYCOON di Elia Kazan) come una delle grandissime personalità del cinema americano di questi anni.
Tutta questa perfezione rende estremamente godibile la prima parte di NEW YORK, NEW YORK. Ma quando si tratta di tirare i fili del discorso, i limiti di Scorsese risultano ancora una volta evidenti. Non soltanto la costruzione del film diventa faticosa, spezzata, stilisticamente incoerente rispetto alla prima parte. Si passa da una reinterpretazione della commedia musicale ad un rifacimento inutile della stessa. Sì passa dal ricordo mitico della scena del ballo di cui si diceva, alle trionfalistiche esibizioni canore finali della Minnelli, che sono semplicemente fuori posto.
Il discorso ideologico (aspirazione all'emancipazione sociale ed artistica del protagonista, musicista di jazz) è incerto e ambiguo. I suoi neri, i suoi bianchi, le sue strade ed i suoi ambienti chiusi inondati di luci solitamente gialle, ma ogni tanto rosse o blu tanto per drammatizzare le cose, sono a volte realistici, a volte espressionistici. Ma, soprattutto, confusi ed inespressivi. Con NEW YORK, NEW YORK è entrato in quell'olimpo che probabilmente si è meritato. Ma arrischia di non uscirne più e di diventare uno dei tanti impeccabili esecutori (i Zinnemann, i Frankenheimer, ecc.) della grande orchestra hollywoodiana. Proprio dal suo film più riuscito (perlomeno nella prima parte) viene la conferma alle critiche che si muovevano alle sue prime opere: quelle, cioè, dì essere non certamente un eretico ribelle, ma uno che al sistema apparteneva, e da sempre, di diritto.
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Datarecensione:
(es. 31/12/01)
Datainserimento:
(es. 31/12/01)
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