Non a caso, del precedente A SERIOUS MAN firmato dai due mirabili fratelli si diceva: spassoso, godibilissimo ma, attenti, non proprio facile. Divertito, sfuggente, ma pure profondo. In apparenza, una farsesca autobiografia attorno alla pazienza di Giobbe, cara alle radici della loro cultura. In effetti, una riflessione acuta, laica, su come ragione e religione, modernità e tradizione possano convivere fra le nostre angustie quotidiane. Attenti, allora, a non ricascarci con IL GRINTA (TRUE GRIT): che, solo a prima vista, ricalca certi schemi classici del western, incollato com'è ad un sonnacchioso precedente dallo stesso titolo, che valse comunque nel 1969 l'unico Oscar a John Wayne. La pugnacità del titolo è infatti quella di una quattordicenne sbarcata dall'Arkansas (debutto clamoroso di determinazione da parte di Hailee Steinfeld: il film è da vedere non fosse per come lei s'accompagna agli altri due, noti scafati) che affitta uno sceriffo dagli (apparenti) scarsi e avvinazzati scrupoli, per inseguire l'assassino di suo padre in terra indiana. Classica contrapposizione, tra la fragilità presunta e l'ostentata truculenza, alla quale concorre un terzo inseguitore, già più ambiguo e coeniano, il prosaico cacciatore di taglie, interpretato dal sempre sorprendente Matt Damon. Scelte di cast che si annunciano subito moderne, che concorrono con certe ombre metafisiche care da sempre agli autori ad allontanare il film dal realismo, anche violento, sul quale era sembrato avviarsi. Per proseguire in una sorta di arguta, melanconica umanità; e culminare in una sequenza finale da antologia, con lo sceriffo sbrindellato e burbero che dedica le sue ultime energie a trasportare a braccia la ragazzina in pericolo di vita. Dai semioscuri che la fotografia del solito compagno di viaggio dei fratelli, Roger Deakins, alterna ai pastelli squisiti che fanno da sfondo ad un itinerario che si è fatto quasi filosofico, emerge finalmente la luce di una capanna: è l'ultimo soprassalto tenero di un western che si è mutato strada facendo, in una deliziosa, impercettibile leggerezza di tocco. Da farsa eroica e paradossale, da omaggio classico, colto e spersonalizzato a riflessione assolutamente attuale sull'uso del bene e il male.