Fumagalli
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Perché non farsi uccidere laggiù da eroe, in quel paese lontano ed ignoto nel quale si era partiti per ragioni assurde di benevolato; piuttosto che ritornare in patria nelle vesti di ostaggio rilasciato?
Autore di un LA PARRUCCHIERA visto a Locarno nel 2003 dove già si chinava sulle ambiguità del desiderio che unisce la vittima al carnefice, Kobayashi in questo BASHING che si traduce in "infierendo" si riferisce senza eccessivi fronzoli all'attualità. A quella sorta di ostilità che è nata in Giappone nei confronti dei malcapitati ai quali è successo di farsi sequestrare in Irak. I quali, sotto la minaccia di morte, si erano lasciati andare a critiche nei confronti del loro governo. Così Yuko, la protagonista del film, è vittima molti mesi ancora dopo il rientro di ogni sorta di linciaggio morale, di incomprensione da parte del fidanzato, di sopprusi da parte del datore lavoro. Finirà (ad immagine dei veri personaggi ai quali si ispira il film) a sognare un ritorno in Irak: dove il suo ruolo e la sua identità erano ancora intatte.
Contraddittorio nel suo restare a metà strada fra realismo e fantasia, non esattamente decifrabile per chi non ha la stessa cognizione dell'onore dei compatrioti di Yuko, il film si costruisce sulle mezze tinte grigie della periferia operaia del film. Grigio del cielo, del mare, dei supermercati, di quelle scale dagli androni scalcinati. Di un'umanità incapace di sottrarsi all'unico legame che sembra mantenerla in vita, lo squillo del telefonino. Tutto certamente vero: e un po' scolastico.
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Dall'archivio:
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Datarecensione:
(es. 31/12/01)
Datainserimento:
(es. 31/12/01)
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