Film destinati comunque a fare incetta di Oscar come IL PADRINO sono, bisogna ammetterlo, densi di aspetti invoglianti. Anche se a tratti assomilgliano a certe signore bellocce che parlano molto, oppure a certe squadre di calcio che vincono sempre: viene una voglia di parlarne male. Ma IL PADRINO ha molte qualità. Certo, più che un film è innanzitutto un'impresa commerciale, un colossale lancio pubblicitario, un esempio brillante, ma anche un po' aberrante, inquietante, di cosa si può fare quando si voglia, assolutamente, vendere qualcosa. Un lavaggio di cervelli internazionale, un'esca per pesci bianchi neri o gialli di cinque continenti; un condizionamento in più, in un mondo pieno di condizionamenti, in un campo, quello cinematografico, che si vorrebbe il più possibile lontano da quelle suggestioni proprio perché particolarmente vulnerabile in quel senso. Detto questo, diciamo anche che molti dei soldi spesi nel IL PADRINO non lo sono stati di certo inutilmente. La larghezza dei mezzi a disposizione (basta un'occhiata al cast sontuoso) ha portato immensi frutti: la ricostruzione d'ambiente è spesso sontuosa, la scelta delle comparse, dei costumi, dei tipi fisici che riempiono le immagini è fra le cose migliori della pellicola. E, a tratti, basta essa sola a tener viva l'attenzione dello spettatore, senza dover ricorrere ai mezzi più volgari. Ci sono dei momenti di "stanca" imbarazzanti (come le sequenze della Sicilia, ad esempio) ma, in complesso, il mastodonte si muove, eccome. Non è tutto, si dirà; ma non è poco. IL PADRINO è, in definitiva, un ottimo, probabilmente grande film commerciale, uno dei tanti film a dir poco stmolanti che gli americani hanno da tempo girato sulla malavita. Poi, se Marlon Brando o Al Pacino sono i novelli Bogart o Edward G. Robinson staremo a vedere, l'asticella è a un bel livello. Francis Coppola non è (ancora?) Howard Hawks, ma pure nel suo caso è lecito aspettare e più che sperare.