Fumagalli
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Gli Americani adorano un mucchio di cose: che fanno la forza, ed i limiti, del loro cinema. Che fanno si che il loro cinema, che lo si voglia o meno, sia il più importante, se non sempre il più grande, al mondo. Gli Americani adorano poter inscrivere da qualche parte sulle loro pellicole "questo film è tratto da una storia vera": qui, quella del dottor Saks che, nel 1966 a New York, riusci' a riportare "temporaneamente in vita" - grazie all'uso sperimentale di un farmaco utilizzato per la cura del morbo di Parkinson - degli ammalati di encefalite letargica.
Adorano anche - ne hanno anzi fatto uno dei fondamenti della loro civiltà e della loro cultura - aver fede nell'individuo, nel suo idealismo come nel suo spirito d'iniziativa, nella sua volontà di spingersi, preferibilmente contravvenendo ai pareri della maggioranza, fino ai confini della conoscenza, o perlomeno della ragionevolezza. Ed ecco, puntualmente in RISVEGLI, il medico timido e imbranato che passa le serate a rimirarsi le piantine nel frigo invece che guardare la televisione; e che, contrariamente ai colleghi troppo occupati per passare il tempo ad osservare o ad ascoltare, percepisce un lampo di conoscenza e di umanità dietro le pupille dei degenti considerati irrecuperabili. Ecco l'infermiera, bruttina e segretamente innamorata, che sarà la prima di una ristretta cerchia di buona volontà, a seguire le vie dell'intelligenza e del cuore. E la mamma col suo amore che poi tende a strafare quando il degente de Niro si sveglia adulto e non più bambino. E la fidanzatina in potenza, dalla messa in piega altrettanto impeccabile che la propria fede.
Grazie a queste loro passioni riescono, gli Americani, a ciò che sembra proibito agli altri comuni mortali della celluloide: animare delle sceneggiature a prima vista convenzionali, interessare ai casi della vita anche attraverso l'utilizzo di sistemi sperimentati fino all'usura. Semplicemente alimentandoli con pochi, ma sempre utili momenti d'invenzione: la brezza di un ventilatore, che per la prima volta viene a ricordare sul viso del redivivo de Niro, l'alito della sua lontana primavera. L'introspezione dello stesso de Niro, certo soprattutto altamente professionale, nell'imitazione della gestualità degli ammalati. O l'incontro con una pantera dietro le sbarre, accomunata al destino dei degenti reclusi da un celebre poema di Rainer Maria Rilke: "Il suo sguardo / a forza di usare le sbarre / si è così esaurito da non conservare più niente / gli sembra che il mondo è fatto di migliaia di sbarre / ed al di là niente. "
Adorano anche, gli Americani - e ciò serve meno al loro cinema - riproporre le formule che conducono al successo (l'ormai celebre mimica di Dustin Hoffman in RAINMAN, la commossa efficacia dello stesso Robin Williams in L'ATTIMO FUGGENTE): ma Penny Marshall (più a suo agio nelle commedie come BIG e JUMPIN JACK FLASH, anche se ripropone un sua riflessione sul trascorrere del tempo, sui rinvii tra lo spirito e la materia) non possiede il mestiere di Barry Levinson né tanto meno quello di Peter Weir.
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Datarecensione:
(es. 31/12/01)
Datainserimento:
(es. 31/12/01)
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