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MADRES PARALELAS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 dicembre 2021
 
di Pedro Almodóvar, con Rossy De Palma, Penélope Cruz, Milena Smit, Aitana Sánchez-Gijón (Spagna, 2021)
 

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Premiato all'ultima Mostra di Venezia con il riconoscimento all'Interpretazione Femminile di un'ispirata Penelope Cruz, Madres Paralelas è come spezzato in due. Dapprima l'incontro nella medesima stanza d'ospedale di Janis (Peneleope Cruz) con Ana (Milena Smit). Due single in attesa del parto, con divergenti umori per ragioni che avremo tempo di chiarire, Due donne, la prima più matura e riflessiva, poco più che adolescente ma intristita la seconda.

Sono destinate ad incrociarsi per due terzi di quello che in definitiva è un melodramma molto dialogato che non vi riveleremo, temi epocali, a cominciare da quelli che ruotano attorno al MeToo. Tutto prima di affrontare, ma ad una ventina di minuti dal termine, un tema fondamentale della storia spagnola, quello dei desaparecidos. La memoria delle stragi falangiste in una rievocazione finalmente avviata di  una fossa comune dimenticata nel tempo. Dramma dell'intimo, dunque, del privato nella prima parte; destinato ad aprirsi in seguito al pubblico e alla Storia che il regista sembra volutamente trattenere in una discrezione che non gli conoscevamo.

Al suo ventiduesimo lungometraggio, superati i settant'anni, sembra in definitiva affiorare un nuovo, più che legittimo, Pedro Almodovar. Del quale si può più che rispettare la sua partecipazione emotiva nel piuttosto laborioso procedere delle due vicende parallele: non sempre inedite, un filo schematiche, forse nemmeno sempre razionali e di conseguenza sorprendenti di Janis e Ana. Una minuziosa, a tratti anche a rischio di calcolo e ripetizione da parte delle due impegnate protagoniste.

Rimane allora soltanto un'ombra della provocazione barocca da parte di un mago della destabilizzazione stilistica; dal quale ci si attenderà sempre qualcosa in più.

Certo, non più l'energia folle degli anni della movida; che un cineasta di quella personalità ha tutti i diritti di lasciare sedimentare fra i ricordi  favolosi offerti dal cinema. Ma quelle esaltazioni delle immagini, delle coreografie, dei colori, delle musiche o anche dell’humour che proiettavano i personaggi, e con loro gli spettatori, in una dimensione tutta loro si è alquanto affievolita. Certo, si segue e si approva, ma con un certo distacco.

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Awarded at the last Venice Film Festival with the prize for Female Performance by an inspired Penelope Cruz, Madres Paralelas is as if broken in two. First the meeting in the same hospital room of Janis (Penelope Cruz) with Ana (Milena Smit). Two single women awaiting childbirth, with divergent moods for reasons we will have time to clarify. Two women, the first more mature and thoughtful, the second a little more than an adolescent but saddened.

Two women, the first more mature and thoughtful, the second a little more than a teenager but saddened. They are destined to cross paths for two-thirds of what is ultimately a very dialogue-driven melodrama that we won't reveal to you. All this before tackling, but about twenty minutes from the end, a fundamental theme of Spanish history, that of the desaparecidos. The memory of the Falangist massacres in a commemoration, finally started, of a mass grave forgotten in time. A drama of the intimate, therefore, of the private in the first part; destined to open up later to the public and to History, which the director seems to deliberately hold back in a discretion that is unfamiliar to him.

At the age of seventy and now in his twenty-second feature film, a new, more than legitimate Pedro Almodovar seems to be emerging. His emotional participation in the rather laborious progress of the two parallel stories of Janis and Ana, which are not always unprecedented, a little schematic, perhaps not even always rational and consequently surprising. A meticulous, at times even at risk of calculation and repetition on the part of the two committed protagonists.

All that remains then is a shadow of baroque provocation by a magician of stylistic destabilisation; from whom one always expects something more.

Of course, not the crazy energy of the movida years, which a filmmaker with such a personality has every right to leave to settle among the fabulous memories offered by cinema. But those exaltations of images, choreography, colours, music or even humour that projected the characters, and with them the spectators, into a dimension all their own have somewhat faded. Of course, one follows and approves, but with a certain detachment.

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