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EMA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 ottobre 2020
 
di Pablo Larrain, con Mariana Di Girolamo, Gael García Bernal (Cile, 2019)
 

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Abbiamo forse  preteso un po' troppo da Pablo Larrain, dopo l'infilata, sempre più esaltante a partire dal 2012 di No, di Neruda, El Club, Jackie. Sulla traccia, nel contesto dei diversi soggetti affrontati, di una regia che come poche altre è sempre stata capace di stimolare l'attenzione dello spettatore: destreggiandosi sul territorio infido ma quanto coinvolgente dell'ambiguità. Ed addentrandosi così nel fantastico, come nei misteri suggeriti dall'intimità con i personaggi, o ancora dettati dal ricorso alla metafora.

In Ema il regista cileno si cimenta in una vicenda forse utile, ma quanto scostante. Quella di una coppia formata da una ballerina e un coreografo più anziano di lei che adotta un ragazzino di dieci anni, perturbato, infine violento. Confrontata alle difficoltà di venirne a capo, i due finiranno per "restituirlo" ai servizi sociali di Valparaiso...

Uno di quei mosaici, insomma, che il ricorso di Larrain ad uno dei suoi celebri montaggi elaborati ha collocato spesso ai confini di una scomoda ma particolare fascinazione. Qui, ahimè, in una delle infinite eccentricità di una situazione, o condizione psicologica che finiranno per rendere lo spettatore in laboriosa sintonia con le psicosi di una protagonista vieppiù manipolatrice e caotica.

Forse esteticamente e pure a tratti seducente (ma quante, infinite sequenze danzate)  ad imitazione della sua ballerina: forse ipnotica, sfortunatamente pure piromane. Con Ema  che finisce comunque ben presto prigioniero della propria tortuosa, infine annebbiata sceneggiatura.

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We have perhaps demanded a little too much from Pablo Larrain, after the increasingly exhilarating 2012 of No, Neruda, El Club, Jackie. On the track, in the context of the different subjects dealt with, of a direction that, like few others, has always been able to stimulate the spectator's attention: juggling the treacherous territory but as involving as ambiguity. And thus entering into the fantastic, as in the mysteries suggested by the intimacy with the characters, or dictated by the use of metaphor.

In Ema, the Chilean director tries his hand at a story that may be useful, but which is as unfriendly as it gets. That of a couple formed by a dancer and a choreographer older than her who adopts a ten-year-old boy, perturbed, finally violent. Faced with the difficulties of getting to grips with it, the two will end up "returning" him to the social services of Valparaiso...

One of those mosaics, in short, that Larrain's recourse to one of his famous elaborate montages has often placed at the borders of an uncomfortable but particular fascination. Here, alas, in one of the infinite eccentricities of a situation, or psychological condition that will end up making the viewer in laborious harmony with the psychosis of an increasingly manipulative and chaotic protagonist.

Perhaps aesthetically and even at times seductive (but how many, infinite dancing sequences) in imitation of her dancer: perhaps hypnotic, unfortunately also arsonist. With Ema who soon ends up a prisoner of her own tortuous, finally blurred screenplay.

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