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MALENA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 marzo 2001
 
di Giuseppe Tornatore, con Monica Bellucci, Giuseppe Sulfaro (Italia, 2000)
 
Cos'è MALENA? La sirena (ammaliatrice, non certo, poverina, adescatrice) del villaggio; che attraversa le viuzze offrendosi allo sguardo concupiscente dei maschi oltre che ai commenti malevoli ed invidiosi delle femmine. La bella è, notoriamente, Monica Bellucci. E il villaggio è nella Sicilia del 1940; proprio mentre Mussolini sta dichiarando guerra alla Francia ed all'Inghilterra. Un ragazzino s'innamora della bella; e lo resterà, spiandola, fino allo sbarco degli Alleati. Ce n'è, a farla lunga, a voler spremere fino allo spasimo la soddisfazione di permettersi la Trionfante Bellezza Mediterranea in passerella per quindici minuti: Tornatore ne impiega un centinaio. È la prima, la più sfibrante fra le infinite presunzioni inflitte allo spettatore; da parte di colui che è probabilmente il più presuntuoso fra i cineasti italiani in attività.

Le altre, nell'avanzare greve dell'immobilismo drammatico per non dire ideologico del film, fanno a gara ad imporsi. Il tono: che per denunciare (si fa per dire) il voyeurismo maschile, l'ipocrisia femminile nello stolto trionfalismo del fascismo imperante non esita a servirsi di quegli stessi mezzi. Il grottesco del neorealismo più caricaturale (ah quegli inserti in bianco e nero che funzionavano cosi bene in NUOVO CINEMA PARADISO...); o il surrealismo spicciolo di un Fellini contrabbandato nei languori dello scirocco. Ricca di mezzi e sfondata di vezzi, la regia non si priva di uno solo dei luoghi comuni sulla sicilianità: la caciara e gli ammiccamenti, le minchie e le pernacchie, le masturbazioni dei giovani e la libidine degli anziani: il tutto fragorosamente amplificato, per chi proprio non avesse ancora messo a fuoco. Confusamente annegato in un mare di saluti fascisti: come bastassero quattro figuranti a mano tesa per farci collegare la volgarità di quei comportamenti privati alle beceraggini di quelle responsabilità politiche. In pochi altri film di tale impegno produttivo (40 miliardi di lire non sono noccioline), di tante ambizioni artistiche (il soggetto è di Vincenzoni, che fu sceneggiatore di Leone e Germi, la fotografia di Lajos Voltai, la musica di Morricone) i risultati sono altrettanto, desolatamente schematici. A risentirne, anche a non voler fare i difficili è allora la banale credibilità spiccia. Prima fra tutte, quella riservata alla povera Bellucci. Per tanti minuti costretta al ruolo di vedova dalla virtù esasperatamente inappuntabile: sempre e soltanto insidiata, chissà poi perché, da un seguito di notabili uno più vomitevole dell'altro. Poi, un bel mattino, tacchi e spacchi, aperitivo in piazza e marchette coi fascisti; tutta una svolta, che gli sceneggiatori ci pensano bene dal giustificare. Come se una con il suo fisico, a proprio volere, non si trovava perlomeno un gerarca con villa a Capri. Sarà stato solo per permettere a Tornatore di girare la sequenza spropositata e grossolana della tonsura alla Liberazione? Fatto sta, che cosi che si conclude ai pugni e calci, vesti stracciate e tette, finalmente in vista.


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