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SUBURBICON Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 dicembre 2017
 
di George Clooney, con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Oscar Isaac (Stati Uniti, 2017)
 

Suburbicon è un agglomerato di case di bambole nella più idilliaca delle provincie americane, casette che sembrano finte, giardinetti senza un filo d’erba di traverso. Il luogo ideale: per crescere figlioli destinati alla migliore delle America Way of Life già in quegli anni Cinquanta . Se non fosse che l’arrivo nel vicinato della prima, pur simpatica famiglia di colore scatena l’inferno. Dapprima, fra i sintomi che lo spettatore indovina nel privato edulcorato della famigliola wasp condotta dal buon papà Matt Damon. Quindi, nel dilagare ormai pubblico del razzismo latente che condurrà a un massacro.

Non deve meravigliarci che ne ambisca testimoniare George Clooney, autore da sempre di pellicole dal forte impegno civile e politico, da Good Night, and Good Luck (2005) a Le Idi di Marzo (2011). Senonché la gestazione di Suburbicon è stata travagliata, anche se non propria insolita nei meandri imprevedibili, e forse progressivamente in crisi delle produzioni cinematografiche. La sceneggiatura iniziale di Clooney prevedeva infatti di concentrarsi su quanto accaduto nel 1957 in Pennsylvania. L’arrivo dei Meyers, prima famiglia afro-americana ad installarsi nella cittadina di Lewittown (e già raccontato in un documentario omonimo); seguito dal crescendo di violenza che l’avvenimento provocava presso la comunità bianca. Ma Clooney si ricordava allora di un progetto sul medesimo soggetto che giaceva nei cassetti dei fratelli Coen da alcuni anni; un thriller con molte tentazioni per l’assurdo se non il comico, tipico degli autori di Fargo e Burn After Reading. Un tono che ai due fratelli ha permesso la riuscita di vari capolavori; ma che nel burlesco di Suburbicon, nel suo costante montaggio parallelo tra le situazioni delle due famiglia si fa vieppiù sterile e prevedibile.

Ad andarci di mezzo finisce così il Clooney-regista: da sempre più a suo agio quando si tratta di fare sul serio, come nei due casi prima citati, che di abbordare il tragicomico o il romantico, vedi Leatherheads e, prima ancora, Confessioni di una mente pericolosa. Rimangono allora le interpretazioni di Julianne Moore, Matt Damon e, in particolare, dell'Oscar Isaac di Inside Llewyn Davis ; e la fotografia notevole di Robert Elswit , caro a Paul Thomas Anderson.


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