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TRE DONNE IMMORALI
(LES HEROINES DU MAL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 ottobre 1979
 
di Walerian Borowczyk, con Marina Pierro, François Guétary, Gaëlle Legrand, Hassan Fall (Francia, 1979)
 

Pittore, grafico, sperimentatore, avanguardista, specialista di film d'animazione. Maestro nell'uso degli sfondi, nella ricerca dell'invenzione barocca, del fantastico. E, a partire da Goto, L'Isola dell'amore, da Blanche e dal suo film più celebre, I racconti immorali, cultore dell'erotismo. Un erotismo come rivolta nei confronti di certe regole della società, come rivalsa dall'oppressione, come risposta al potere.

Di tutti questi suoi interessi è proprio l'erotismo, questa forma in definitiva trascurata da un genere di spettacolo che basa molto del suo richiamo proprio sul sesso, a segnare di più la carriera di «Boro», regista polacco, francese d'adozione. Con alterne fortune: temi come la bestialità, la crudeltà, il voyeurismo, l'autoerotismo non si coniugano facilmente sullo schermo. Anche quando si possiede il talento sicuro di Borowczyk.

Tre donne immorali non sfugge alla regola. Sono tre episodi: Raffaello e la Fornarina, un racconto di Mandiargues su di una fanciulla che si diletta con un coniglio, ed un episodio contemporaneo nel quale il beneficiato della protagonista è un doberman. Diciamo che quest'ultimo episodio è nullo; e che in quei casi il cinema di Boro non scade nella pornografia, Dìo ce ne scampi, ma piuttosto nella noia. Il secondo degli episodi vale per la spregiudicatezza dell'assunto, temperata dalla padronanza formale del regista. E da una sua carica polemica che sfocia nella critica sociale. Ma il vero regalo di Tre donne immorali è il primo dei tre episodi, quello sulla Fornarina che conduce il suo balletto di amore e di motte mentre Raffaello dipinge le Stanze del. Vaticano.

Qui l'intreccio amoroso, l'intrigo mortale, si traducono sullo schermo in un delizioso ricamo formale che mai scade nel formalismo. Costruita un'impalcatura di legno, un labirinto cosparso di trabocchetti che, nelle intenzioni del racconto, dovrebbe servire ad allontanare i curiosi, a preservare la tranquillità di Raffaello mentre affresca le Stanze, Borowczyk lo rende teatro del suo gioco raffinato. Qui diventa chiara la concezione del cinema del regista polacco, il suo interesse per le trame dei sensi e dei sentimenti che non si basa mai (come solitamente accade in certi calligrafi erotici alla Vadim o alla Hamilton) su una concezione utilitaristica dei corpi e dei significati. Il gioco erotico femminile, ad esempio, non è mai osservato voyeuristicamente ad uso e consumo di una platea fatta eventualmente di maschi.

A modo suo, Borowczyk fa del cinema femminista, anche se la cosa non rientrerà immediatamente nei canoni tradizionali di quel movimento. Perché la sessualità delle eroine di Boro è un'arma, dapprima dolce poi feroce, che permette loro di affermarsi nei confronti del mondo che le circonda. Le donne del regista polacco, osservate a prima vista secondo le regole della fotografia poetico- decorativa in auge da tempo (sfumati, controluce, perfezione formale che riscatta il lato spregiudicato) diventano tutt'altro di un puro oggetto di desiderio; o di evasione dall'impegno di un discorso ideologico. Rovesciano questa situazione, che lo spettatore ha inizialmente sposato (per consuetudine a questo tipo di associazione). Così la Fornarina, tra un tranquillo amplesso ed un altro, fa fuori il Raffaello e il mecenate. Con una determinazione crescente, fa uso delle armi che si ritrova (la propria bellezza) per tracciarsi la strada che fin dall'inizio si era ovviamente prefissa. Così la fanciulla del coniglio, nel secondo episodio del film, dopo essersi abbandonata sensualmente tra le margherite alle iniziative più o meno innocenti dell'animaletto, compie una feroce rappresaglia. Eliminando quei rappresentanti delle istituzioni (la famiglia, la società) che cercavano di imporgli una visione' del mondo contraria alla sua.

L'erotismo di Borowczyk diventa così la strada che porta le protagoniste femminili alla lucidità, alla conoscenza di loro stesse e del ruolo che esse desiderano avere nella società. Mai una fuga, quindi, una rinuncia, un'evasione gratuita. Quando tutto funziona nel cinema di Boro (cosa che non sempre avviene, è giusto dirlo) il fantastico ed il magico fanno da sfondo ad un gioco sottile nel quale amore e morte si condizionano come di dovere. E nel quale l'osservazione della bellezza diviene un elemento positivo, la fonte di energia che conduce i protagonisti alla propria affermazione.

 


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