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FESTIVAL DI CANNES 2017: UN FESTIVAL (E UN CINEMA) DA REINVENTARE
  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 giugno 2017
 
(2017)
 

Se, tra le infinite che lo hanno illustrato, c’è da scegliere un’immagine che riassuma il Festival del Settantesimo, è proprio quella del suo compleanno. Vi si vedono schierati, praticamente abbracciati al culmine dell’ormai abusato tappeto rosso, tante figure dalla rigorosa tenuta di gala. Sono i festeggiati, i laureati in gran parte gloriosi, i registi e attori della storia di Cannes. Monumenti dell’arte cinematografica, qualcuno un po' corroso dal tempo, quasi tutti di sesso maschile. Profili granitici: con attorno, o meglio ai loro piedi, la folla munita di telefonino.

Da una parte, la celebrazione dei Grandi Nomi che hanno contribuito all’egemonia di Cannes; dall’altra l’agitazione isterica, ma pure l’immenso potenziale rappresentato da milioni di spettatori sparsi nel mondo. Cannes ha voluto (in parte dovuto) fare a meno quest’anno della presenza di coloro che perfidamente vengono definiti i suoi abbonati. Con risultati più che dubbi. Perché i più celebri fra i presenti hanno, chi più chi meno, deluso; presentando opere involute, meno compiute delle precedenti, anche se illuminate talvolta da ispirate intuizioni. Perché il confronto tra la selezione di quest’anno, già definita un po' imprudentemente "laboriosa" dal direttore Thierry Frémaux stesso, con quella formidabile del 2016 che vantava almeno una mezza dozzina di capolavori e altrettante rivelazioni, è risultata micidiale. E, in modo particolare, poiché i film dei vari Michael Haneke, Todd Haynes, Jacques Doillon, Sergei Loznitsa, Kornel Mundruczo, dello lo stesso Roman Polanski (seppure fuori concorso, l’ultimo giorno) hanno dimostrato come la presenza di qualche maestro affermato non rappresenti ormai più la soluzione di ogni magagna. Anche per Cannes, assieme a tutto ciò che finora abbiamo definito cinema, è giunto il tempo di affrontare decisioni radicali anche se dolorose.

Non a caso, infatti, il sentimento dominante è stato quello di una sorta d’indifferenza, se non di rassegnazione. Nei confronti, cosa inizialmente anche curiosa, non tanto della godibilità o meno dei film presentati; forse dovuta a dipendenza di sfortunate scadenze temporali. Ma di una disfunzione ben più grave e generalizzata: quella materiale, del tutto concreta di un sistema. Considerata forse prosaica da qualcuno: se non fosse che ormai responsabile di inevitabili conseguenze anche artistiche. Imperava nei festival la guerra delle stellette; di per sé stessa già controproducente per la credibilità di tutto un ambiente. Con la medesima pellicola che si vedeva assegnare, a seconda di umori, provenienze culturali o politiche, etichette che variavano dal capolavoro alla scartina. Ora, l’interrogativo che più o meno subdolamente sembra nascere negli addetti ai lavori non concerne più tanto la relatività o i rischi di un giudizio. Ma, bello o brutto che sia: quante probabilità avrà questo film di essere mai visto?

Alimentato dalla polemica su Netflix della quale ci siamo già occupati nei numeri precedenti, è ormai chiaro quanto il problema della distribuzione e del consumo del prodotto cinema sia ormai giunto al cuore di manifestazioni dal successo apparentemente spensierato come i festival. Il destino assurdo dei film (la maggior parte!) che nessuno vedrà più; delle centinaia di progetti, addirittura di pellicole già terminate che non troveranno mai una via di distribuzione. Prigioniero di regole e prescrizioni che lo condizionano assieme ai suoi operatori dai tempi remoti dell’avvento della televisione (e che ne influenzano l’estetica stessa), il cinema deve snellire urgentemente e in modo drastico il cammino che lo conduce al consumatore.

Queste considerazioni pratiche hanno relativizzato i litigi artistici. Cosi, la relativa modestia della competizione, o la dispersione delle opere fra rassegne e celebrazioni di una manifestazione pachidermica, hanno finito per mimetizzarsi fra le pieghe delle difficoltà logistiche: una folla avida di selfie (ma quanto di cinema?) debordante, le inevitabili misure di sicurezza, delle code interminabili, nelle quali i tempi di attesa superavano di gran lunga quelli destinati alle proiezioni.

Archiviate nei numeri precedenti parte delle opere premiate (a cominciare dalla Palma, giustamente assegnata allo spasso ma pure all’intelligenza di The Square) occorre ancora sottolineare il controverso ritorno di Sofia Coppola con La prede all’indagine sensibile dell’animo femminile che la rivelò in Il giardino delle vergini suicide. Egualmente, la non facile trasposizione in una commedia disinvolta di un personaggio ostico come Godard, riuscito da Michel Hazanavicius in Redoutable. Ancora, l’esplosione formale, ma soprattutto l’interpretazione di un mostruoso Joaquin Phoenix ingrassato di trenta chili in You Were Never Really Here di Lynne Ramsey. La brillante disinvoltura estetica, non esattamente gratuita come sostenuta da una parte, di François Ozon in Amant Double. L’intimismo inimitabile nell’approccio al momento presente della Noemi Kawase di Radiance, lungi dall’aver fatto l’unanimità sulla Croisette.

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I PREMI

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Palma d’Oro: The Square di Ruben Östlund

Premio del 70.mo Anniversario: Nicole Kidman

Gran Premio: 120 battements par minute di Robin Campillo

Premio alla Regia: Sofia Coppola per Le prede

Premio alla Sceneggiatura: Mise à Mort du Cerf Sacré di Yórgos Lánthimos e You Were Never Really Here di Lynne Ramsay

Premio Interpretazione Femminile: Diane Kruger per In the fade di Fatih Ak1n

Premio della Giuria: Loveless di Kornél Zvyagintsev

Premio interpretazione Maschile: Joaquin Phoenix per You Were Never Really Here di Lynne Ramsay

Caméra d'or: Jeune Femme" di Léonor Séraille

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… e qualche nostra stelletta:

***(*) The Square, di Ruben Oslund

***(*) Loveless, di Kornél Zvyagintsev

***(*) L’atelier, di Laurent Cantet

*** Amant Double, di François Ozon

**(*) You Were Never Really Here, di Lynne Ramsey

**(*) Radiance, di Naomi Kawase

**(*) Le prede, di Sofia Coppola

**(*) Una storia vera, di Roman Polanski

**(*) 120 battements par minute, di Robin Campillo

**(*) Redoutable, di Michel Hazanavicius

** Wonderstruck, di Todd Haynes

** Happy End, di Michael Haneke

*(*) A Gentle Creature, di Sergey Loznitsa

* Rodin, di Jacques Doillon

0 Jupiter’s Moon¸di Kornel Mudruczo

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