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CAFE SOCIETY Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 maggio 2016
 
di Woody Allen, con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carell, Blake Lively, Jeannie Berlin (Stati Uniti, 2016)
 

Poche volte è successo che dei cineasti che avevano superato la settantina, addirittura gli 80 anni come nel caso di Woody Allen, riuscissero a ripetere, forse anche a perfezionare il meglio del loro pensiero e della loro padronanza espressiva. Successe, per ricordarne uno, al John Huston di GENTI DUBLINO. Succede, al termine già straordinario di una cinquantina di lungometraggi a quel Woody Allen al quale non pochi guardano ancora con malcelata diffidenza. Vi diranno: una fonte inesauribile di battute e situazioni comiche; ma non un autore di cinema da inviare nell'Olimpo dei pochi eletti. Lo si diceva ai suoi inizi, perlomeno fino al 1977 di ANNIE HALL; e qualcuno continua a pensarlo anche di recente quando, accanto a qualche opera dal giustificato rilassamento ha continuato a firmare capolavori, come WHATEVER WORKS, MOONLIGHT IN PARIS o BLUE JASMINE.. Se CAFE SOCIETY mi sembra conquistarsi un posto tutto suo fra la quindicina (ventina?) dei capolavori che spiccano nella portentosa filmografia di Woody Allen, è per due ragioni. La prima: dietro la solita, apparente facilità del racconto disincantato affiora ora una serenità inedita, l'equilibrio, l'umanesimo del pensiero di un artista che s'indovina impegnato in un'opera somma, quella che racchiude gli aspetti più significativi della propria identità. La seconda, è che questa preoccupazione, lungi dall'esprimersi infiacchita dall'abitudine, viene restituita con l'equilibrio e il fulgore espressivo sovrano dei momenti più fertili. La faccenda, di comprensione universale forse perché universalmente vissuta, il nostro l'ha subito riassunta in una delle sue celebri, lapidarie definizioni: la vita è una commedia scritta da un autore sadico. E se il sadico è lui stesso (che dall'inizio del film rappresenta la voce narrante), la prima vittima gaudente e predestinata sull'asse portante della pellicola che da New York conduce alla Hollywood tutta glamour Anni Trenta, è Bobby. Un Jesse Eisenberg, miracoloso clone del regista; che mai scade però nella banale scimmiottatura del celeberrimo modello. In fuga da genitori esemplarmente jewish nel Bronx, da un fratello occupato ad asfaltare sotto strati di cemento chi gli dà fastidio, Bobby ha la baldanza dei timidi. Sa di avere uno zio Phil, magnate negli Studios della fabbrica dei sogni. Ciò che invece ignora, è che ad accoglierlo c'è la segretaria dello zio con lo sguardo in tralice di Kristen Stewart; e che l'innamoramento sarà (forse) reciproco. Ma che dell'onnipotente zio la seducente Vonnie è pure l'amante. CAFE SOCIETY vive da quel momento non solo sulla leggerezza sublime dell'affresco del glamour hollywoodiano così spesso rievocato. Ma su qualcosa di più effimero, e al tempo stesso terribilmente consistente. Qualcosa che pareva definitivamente fuori moda, ma che un ottantenne Woody finalmente (quasi) romantico ci ricorda con una misura e una grazia insospettata. Pur nell'euforia della vicenda, nulla è di troppo. Nulla è forzato in questa storia così esile eppure tanto importante da apparire eterna, quasi troppo impalpabile per essere raccontata. Questa fragilità nella persistenza dei sentimenti Allen la racconta con la concretezza di una scrittura cinematografica magistralmente posseduta. Tanto compiuta da apparire facile: la perfezione di tutti gli attori, prima fra tutti Kristen Stewart, l'ormai ex adolescente di TWILIGHT già incredibilmente maturata in SILS MARIA,. Ma che qui, nell'emozionante trasparenza dei propri sentimenti, nella inquieta espressività dei suoi primi pianii si afferma definitivamente fra le più grandi. Poi, la padronanza magistrale del montaggio, che imprime alla leggerezza della commedia una irrefrenabile fuga in avanti; a un amante della pittura finirebbe per ricordare l'arte del movimento di un Pollaiolo. Soprattutto, l'amalgama così caldo, frutto dell'immenso lavoro sul colore e la luce di Vittorio Storaro. Grazie all'ambra dorata delle sue tinte, alla piega cangiante delle sue illuminazioni, all'uso di una tecnica digitale una volta tanto innovatrice alla quale anche un tradizionalista come Allen è stato convinto, sembra avere ringiovanito il film, assieme ai suoi interpreti. Mai forzato nella satira, giustissimo: forse poiché permeato da un filo di malinconia, nel giubilo intatto di un sarcasmo che mai scade nella cattiveria. Un equilibrio sereno e consapevole, nelle psicologie delle situazioni e dei personaggi; del quale raramente il cinema del grande cineasta ha saputo profittare. Woody scherza e si diverte, e con lui lo spettatore. Non si priva certo di farci sapere che l'amore non corrisposto miete più vittime della tubercolosi". E che se gli ebrei avessero garantito la vita dopo la morte, chissà quanti clienti avrebbero guadagnato. Ma questa sua commedia scritta dall`autore sadico ci ricorda quanto il gioco degli amanti, proprio come quello di un maestro dell'ironia, sia al tempo stesso fonte di piacere e di sofferenza.


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