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BLACKKKLANSMAN Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 ottobre 2018
 
di Spike Lee, con John David Washington, Adam Driver, Laura Harrier, Topher Grace (Stati Uniti, 2018)
 

Dopo una decina d’anni di quasi anonimato Spike Lee è risorto: il suo BlacKKKlansman introduce neri ed ebrei con noncurante e a tratti spassosa lucidità, fino all’interno della stupidità razzista del Ku Klux Klan di Colorado Springs; per non arrendersi nemmeno all’anticamera delle stanze di Trump. Il suo Grand Prix ha rappresentato un meritatissimo argento a Cannes 2018.

Che Spike Lee non si sia mai tirato indietro quando si trattava di affrontare problematiche razziali lo sappiamo da sempre. Ma qui il regista sessantenne sembra aver ritrovato molta della sua arte tutta particolare, scivolando con estrema naturalezza dai toni comici a quelli seri, per non dire tragici. S’ispira all’autenticità di un fatto clamorosamente accaduto: quello di Ron Stallworth, il poliziotto afroamericano al quale riuscì l’impresa stupefacente, alla fine degli Anni Settanta, d’infiltrarsi nel Ku Klux Klan degli addetti al linciaggio e alla nota tradizione razzista e antisemita. Grazie, pure alla collaborazione di un collega: bianco, questo, ma ebreo…

Giocando con scioltezza sul suo thriller, che da semi-ridanciano che era si fa altamente significativo, al regista riesce allora di riprendere con quanto di profetico aveva iniziato mirabilmente nel 1989 con Do The Right Thing. Si appoggia, come spesso gli è riuscito, su un uso dei suoni spettacolare, il dilagare delle musiche, ma pure delle risonanze ambientali, gli accenti della parlata; a cominciare da quella dei protagonisti, Adam Driver, il compare bianco, e John David, il figlio di Denzel Washington. Il risultato? Da un cinema di talento, ma tutto basato sull’istinto, si passa ad un altro, ragionato: che provoca la riflessione, in quanto iscritto nella storia delle genti.

Spike Lee si diverte parlandoci del passato, talvolta senza badare troppo per il fine (dopotutto siamo nell’epoca dei Trump); ma si rivolge soprattutto all’America di oggi, specchiandosi in quella, assai meno godibile, del feroce e stolto nazionalismo. Mostrandoci Alec Baldwin quando imita ferocemente il presidente nel corso della celebre emissione televisiva Saturday Night Live.

Non tutto coincide, nella caricatura di certi accostamenti. Ma, quasi l’avevamo dimenticato, la forza di Lee risiede proprio nell’impeto, la rabbia, la volontà di persuasione del suo cinema. Come quando il film si fa esplicitamente più politico, grave, quasi brutale. Con le immagini di una pellicola cara da sempre ai membri del Klan in quanto notoriamente razzista come Nascita di una nazione (1915) di Griffith che vengono a confondersi sul viso dell’oratore David Duke.

Nascono allora in montaggio parallelo quelle splendide del racconto del novantenne Harry Belafonte (il primo fra gli attori ad aver lottato per i diritti civili) ai giovani attivisti neri; ricordando il linciaggio al quale aveva assistito, del martire Jesse Washington torturato e assassinato nel 1916. Le risate del film di Spike Lee si spengono allora dietro le immagini della strage di Charlottesville dell’agosto 2017 e il ritratto di Heather Heyer, vittima a trent’anni mentre partecipava al corteo antirazzista.

Il presidente degli Stati Uniti aveva assolto i colpevoli.


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