CI LASCIA A 103 ANNI UN LEONE DI HOLLYWOOD
Riecco il film degli anni Sessanta appena iniziati firmato da Stanley Kubrick: la rivolta degli schiavi romani, uno dei primi moti di rivendicazione sociale della storia. Esempio tipico di come il miglior cinema americano riesca a vincere gli ostacoli di un destinazione commerciale quando dietro all'occhio della cinepresa c'è gente come Kubrick, Nicholas Ray, o Minelli: artisti cioè, che riescono a condurre un proprio discorso a dispetto della situazione. Ed è in questi casi che gli istanti di purezza artistica, isolati in un contesto di banalità e di volgarità, risaltano e risplendono di una luce ancora più abbagliante.
Così in SPARTACUS, accanto alla cartapesta e ai crepuscoli rosati che potrebbero indurre a una condanna aprioristica del film, vi sono momenti di intuizione artistica e d'impegno sociali addirittura miracolosi per un film del genere prodotto in America negli anni Cinquanta. Con, tra gli altri mostri, un KIRK DOUGLAS in più...
Le inquadrature dei gladiatori che attendono il loro turno, e soprattutto, quei primi piani al teleobiettivo sulla folla dei senza patria, sorpresa nella propria sofferta intimità, sono di una forza espressiva assolutamente inaspettate. Aggiungete la straordinaria maestria delle scene di battaglia, nelle quali è evidente la lezione del mitico ALEKSANDR NEVSKIJ per concludere come SPARTACUS, malgrado certe apparenze, non sia per nulla indegno dei più reputati film di Kubrick. Dimostra al contrario, che un cineasta degno di chiamarsi tale può venire a capo con dignità, ed eventualmente con arte di qualsiasi impresa.