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RATATAPLAN Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 novembre 1979
 
di Maurizio Nichetti, con Maurizio Nichetti, Angela Finocchiaro, Edy Angelillo, Roland Topor (Italia, 1979)
 

Mettere in scena la comicità, diceva l'altro giorno Strehler in una intervista, è molto più difficile che non il dramma. Una ragione in più per ammirare un'opera prima come Rataplan. La prima mezz'ora del film di Maurizio Nichetti è cosi densa di inventiva, così attenta nel descrivere l'umanità dei personaggi, così frenetica nel mantenere quel ritmo incalzante (indispensabile al film comico) che si passa il tempo ad aspettarsi il crollo. Un crollo che non giunge, in pratica, mai: il miracolo di quest'opera d'esordio è proprio quello di tenere per tutta la sua durata una continua dinamica. Qualcosa, insomma, che non riusciva nemmeno a Woody Alien nei suoi primi film.

Ratataplan inizia come un film di Olmi: degli impiegati lombardi, perfettamente tipati, si presentano presso una ditta americaneggiante per sottoporsi ad un test necessario ad ottenere un Posto. Ben presto, il film risolve la gag come un film di Tati; poi, ci si può anche divertire a trovare altri riferimenti. Dallo stesso Tati (la scuola di ballo) a Buster Keaton (la colazione meccanizzata), da certi maestri del grottesco di origine spagnola come Berlanga o Ferreri (il consiglio di amministrazione) a Chaplin (gli incontri con le donne), ai Marx Brothers o, naturalmente, a Woody Alien. Tutto questo non deve però far pensare ad una spersonalizzazione: il film di Nichetti non è assolutamente una serie di brillanti citazioni. Al contrario: tutti questi riferimenti sono filtrati e fusi da un artista che ha la fortuna di poter intervenire sul film non solo come regista, ma anche come sceneggiatore, come attore, come montatore.

Il risultato è una visione comica di straordinaria compiutezza, soprattutto se teniamo conto che Nichetti è al suo primo lungometraggio. E questo avviene anche perché dimostra di possedere appieno quello che si chiama lo sguardo cinematografico. Distanziandoci brevemente dalla seduzione delle gag, vedremo come il regista governi perfettamente lo spazio a disposizione: il quadro è costantemente composto (o scomposto) con logica e inventiva, gli elementi espressivi (si pensi anche al suono, alle rare parole utilizzate con grande efficacia creativa) sono padroneggiati con splendida compiutezza. Insomma, siamo ben lontani da certi esordi comici (e penso anche ai più grandi, ad Allen di nuovo) nei quali ad una felicità «teatrale» o di testo delle trovate comiche, corrispondeva una povertà di trascrizione cinematografica, che spesso finiva col sciupare la tecnica della gag.

Nichetti sa trasformare l'idea comica in effetto cinematografico, e lo fa grazie a un canale che personalizza quei riferimenti inevitabili di cui sopra: la propria esperienza nel campo dell'animazione. Il fascino del film proviene poi anche dal fatto di ritrovare certe atmosfere del mito comico cinematografico, rinvigorite e legittimate dalla fresca modernità della tecnica del cartone animato.

Woody Alien e Road Runner (il celebre coyote di Chuck Jones che tenta incessantemente di raggiungere il velocissimo struzzo) potrebbe rappresentare la chiave del cinema di Nichetti. Si pensi ad una gag, tipicamente da «cartoon» come quella del protagonista che si prende le misure col metro prima di saltare, rattrappito, nell'interno del camioncino… Ma per parlare di quella che sembra essere anche una sua poesia occorre accennare a quelle intuizioni istintive che permettono ad un regista di trascendere la qualità delle immagini. C'è una poesia dell'assurdo in Ratataplan (soprattutto nella magnifica sequenza di Nichetti cameriere, che attraversa la città col suo bicchiere di acqua minerale) che deve moltissimo non solo alla scelta delle situazioni, ma alla qualità dello sfondo.

Raramente un film è stato altrettanto squisitamente «milanese» quanto questo, al gusto ed al pudore nella scelta degli ambienti (il finale fra gli stracci colorati).

Meno persuade invece Nichetti quando, come nella parte centrale della rappresentazione teatrale sull'aia dei contadini, sembra rifarsi ad un assurdo più di maniera: che ricorda non solo un Fellini ormai risaputo, ma anche certe atmosfere surreali che nel cinema campavano già quarant'anni fa. Questa parte centrale, certe lunghezze e ripetizioni in qualche altra situazione ci impediscono di gridare al capolavoro. Ma il fascino di quest'opera prima, il talento che s'intravede nella formazione di ogni sequenza, il temperamento poetico che è all'origine delle situazioni e dei personaggi ci fa sperare che il cinema comico abbia trovato un nuovo punto di riferimento.


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