Dominando di gran lunga la prima parte dell'edizione del Settantesimo del Festival l'esistenza, colta con estrema energia, di due fratelli assunti come minatori in una miniera di calce. Emil, in particolare: assolutamente solo in quell'ambiente dall'ostilità impensabile. Con due soli sblocchi, la passione repressa per una figura femminile che appare alla finestra dei dormitori, e la fabbricazione di un intruglio abusivo da rivendere ai lavoratori.
Più della vicenda, conta comunque il tono, estremamente rigoroso e significativo, quasi tutto affidato alle immagini, all'invasione dei suoni, all'attenzione quasi fobica per l'ambiente che finisce per assumere una carica emotiva e critica formidabile.
In quegli interni nella miniera affondati nel buio totale, rotto con qualche lampo disperato dalle lampade dei minatori, così come negli esterni rarefatti e disumanizzati.
Non a caso, in parallelo, ecco farsi luce un vecchio ma sempre utile fucile, l'insegnamento televisivo sull'utilizzo mortale di una carabina, l'adescamento che ben conosciamo. L'Isis non è lontana, il film è una rivelazione.