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NOBODY KNOWS
(DAREMO SHIRANAI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 settembre 2005
 
di Hirokazu Kore-eda, Yuuya Yagira, Ayu Kitaura, Hiei Kimura, Momoko Shimizu, Hanae Kan (Giappone, 2004)

Nelle sale: KORE-EDA HIROKAZU, un tocco leggero dal Giappone - CINECLUB SVIZZERA ITALIANA - Mendrisio 22/1, Bellinzona 28/1, Lugano 4/2

 

Un fatto effettivamente accaduto. Ma che importa? Un film come questo trascende la nozione del tutto relativa di verità: perlomeno di quella che crediamo rivelata dalle faccende toccate con il nostro dito. Nella sua straordinaria riproduzione della realtà, nella sua toccante, mai patetica, attentissima trasposizione degli infiniti momenti, delle mille, sempre identiche e diverse variazioni gioiose o dolorose che da sempre osserviamo nel quotidiano di un bimbo o di un adolescente, in questa storia dei quattro fratelli e sorelle che vengono progressivamente abbandonati in un appartamento di Tokio da una madre più incosciente e vittima che veramente cattiva, l'occhio del cineasta va ben oltre la banale meticolosità dell'osservazione cronachista. Per riflettere sulla società che ci circonda, sul genere di esistenza che l'assuefazione alle sue regole ci ha ormai imposto. Per sfociare infine, tra l'amarezza della constatazione e il miraggio della speranza, nella commozione di una poesia che rende il messaggio universale.


Racconto, dapprima divertito, miracolosamente sereno, della dimensione familiare e infantile. Mai melodrammatico: come avrebbe fatto, con un soggetto del genere, il novantanove percento dei mestieranti cineasti. Al contrario, analisi, lucida, disperata, ma sempre incredibilmente dolce NOBODDY KNOWS affonda con folgorante semplicità espressiva in una doppia solitudine: quella nell'indifferenza e nella banalità del contesto umano in cui viviamo; e quella eccitante ma pure mortificante della difficoltà del divenire adulto. Dell'abbandonare, senza doverli perdere per sempre, i territori dell'innocenza infantile.


Tutto ciò nasce da uno spirito di osservazione toccato dalla grazia, dalla riuscita di un esercizio di micidiale difficoltà, la direzione d'attori di quattro bambini splendidi, senza l'ombra delle smorfie spot pubblicitarie che ci affliggono quotidianamente. Nasce dalla qualità, dalla misura e la profondità dello sguardo registico di Hirokazu Kore-Eda, che avevamo già ammirato nel bellissimo LA LUCE DELLA RIFLESSIONE. In una durata stirata forse qualche attimo di troppo, una attenzione maniacale ma mai forzata del dettaglio: isolato, sublimato per permetterci di entrare in perfetta intimità con i personaggi. E, al tempo stesso, quando dedicato all'ambiente nel quale essi vivono, per travalicare i limiti dell'osservazione naturalistica. Perché i dettagli si facciano metafore (il seme dei fiori strappati all'asfalto, i pugni di terra per osservarli crescere, l'evasione verso l'aeroporto, la festa perduta sul monorail) impresse nella nostra memoria.


   Il film in Internet (Google)
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