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ABBRACCI SPEZZATI
(LOS ABRAZOS ROTOS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 22 novembre 2009
 
di Pedro Almodovar, con Penelope Cruz, Lluis Homar, Blanca Portillo, José Luis Gomez, Ruben Ochandiano, Angela Molina (Spagna, 2009)
 

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Un cineasta divenuto scrittore dopo essere diventato cieco rivede la genesi di un proprio film; di come il significato delle proprie immagini possa venire manipolato; e di come riuscire a rivivere la sua passione, a riappropriarsi della presenza della sfortunata protagonista, la splendida e mutevole Penelope Cruz. A metà fra il melodramma incandescente e il profondo noir ABBRACCI SPEZZATI è irraccontabile: poiché si alimenta, come ogni film di Pedro Almodovar, dei mille espedienti cinematografici sui quali indirizza lo spettatore. Questi nascono (e come potrebbe essere differentemente?) dall'uso di uno sguardo. Che forse non uccide (come al primo al quale si pensa, e difatti subito citato del celebre PEEPING TOM di Michael Powell), ma che è destinato a dissolversi nel buio quando il protagonista cineasta ne viene privato. Che testimonierà del dramma, a colpi di molti flashback, di spiegazioni anche verbali: ma comunque sempre dipartendosi dal significato di quell'occhio gigantesco che vediamo invadere lo schermo all'inizio del film. Che spierà incessantemente la passione degli amanti, con quella cinepresa amatoriale che li fruga, inesorabile nella sua clinica tecnologia.


Ma la vera energia dello sguardo del regista spagnolo non è racchiuso nell'oggetto dell'osservazione, quanto nella sua qualità. Che è racchiusa nei suoi momenti più particolari. Nella sequenza più straordinaria del film per le sue vibrazioni poetiche indimenticabili, con Penelope Cruz che compare silenziosamente alle spalle del compagno (Laura, in uno dei tanti rossi infuocati, dark lady premingeriana in antitesi all'accorata Ingrid Bergman del VIAGGIO IN ITALIA finale), mentre questi sta osservandola nel filmato girato allo scopo di spiare gli amanti. Sovrappone allora la sua voce ai propri movimenti labiali, ancora un po' astratti, forse ancora illusoriamente incerti di quella pellicola muta. Ed esplode cosi nella verità clamorosa tutta l'ambiguità del procedimento, svelandone il calcolo e l'impostura. Capovolge, nella vertigine affascinante dell'intuizione espressiva, realtà e finzione, vita e invenzione, cinema e romanzo.


Malinconico e sensuale, ormai all'opposto della provocazione grottesca e quasi goliardica del DONNE SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI abbondantemente trasposto in questo ABBRACCI SPEZZATI rosselliniano anche nel suo titolo, il cinema di Almodovar è indubbiamente cambiato. In meglio, per l'umanità di un approfondimento personale che s'indovina autentico e sofferto, per una tenera riflessione esistenziale che si è fatta di certo più universale e condivisibile. Ma non sempre, se nella leggera laboriosità di un'ambiziosa sceneggiatura affiora il sospetto dell'autoreferenza, o il dilettevole compiacimento che serve al regista per relazionare il cinema alla vita, il desiderio e la passione alla realtà del quotidiano. La passione, sempre lei, per la vibrazione dell'istante presente: che talvolta minaccia di nuocere all'equilibrio del racconto (la predominanza, splendidamente manieristica, di tutta la parte rivolta al passato), alla distribuzione dell'attenzione psicologica su tutti i personaggi, ad una vera tensione drammaturgica.


Meglio allora, per non guastarsi il piacere, abbandonarsi in quella meccanica preziosa e sempre più sapiente (scenografie, luci e colori, costumi e musiche condotte a una perfezione quasi fatta di contrappunti fra cinema e vita, fra personaggi che in quel senso si specchiano e raddoppiano, nel mare di suggestioni cromatiche, del ricorso incessante agli ingredienti mitici dei melodrammi noir dei Sirk, Preminger, Minnelli o Hitchcock: amore e morte, sessualità e infermità, desiderio e ribrezzo. Magari arrischiando di ammirare e non sempre aderire, esaltare e non proprio commuovere.

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A filmmaker who became a writer after going blind reviews the genesis of his own film; how the meaning of his images can be manipulated; and how to succeed in reviving his passion, in reclaiming the presence of the hapless protagonist, the beautiful and changeable Penelope Cruz. Somewhere between incandescent melodrama and deep noir ABBRACCI SPEZZATI is unaccountable: for it feeds, as does every Pedro Almodovar film, on the myriad cinematic devices on which he directs the viewer. These arise (and how could it be otherwise?) from the use of a gaze. Which perhaps does not kill (like the first one one thinks of, and in fact immediately quoted from Michael Powell's famous PEEPING TOM), but which is destined to dissolve into darkness when the filmmaker protagonist is deprived of it. Which will bear witness to the drama, by strokes of many flashbacks, of even verbal explanations: but still always departing from the meaning of that giant eye we see invading the screen at the beginning of the film. That unceasingly spies on the lovers' passion, with that amateur camera poking at them, relentless in its clinical technology.


But the real energy of the Spanish director's gaze is not contained in the object of observation as much as in its quality. Which is encapsulated in its most particular moments. In the film's most extraordinary sequence for its unforgettable poetic vibrations, with Penelope Cruz silently appearing behind her companion's back (Laura, in one of many fiery reds, a premingerian dark lady in antithesis to the heartfelt Ingrid Bergman of the final VIAGGIO IN ITALIA), while he is watching her in the footage shot for the purpose of spying on the lovers. She then superimposes her voice on his own lip movements, still somewhat abstracted, perhaps still illusorily uncertain of that silent film. And thus explodes in resounding truth all the ambiguity of the proceedings, revealing their calculation and imposture. It reverses, in the fascinating vertigo of expressive intuition, reality and fiction, life and invention, cinema and novel.


Melancholic and sensual, now at the opposite end of the grotesque and almost goliardic provocation of the WOMEN ON THE ROLL OF A NERVE CRISIS abundantly transposed in this ABBRACCI SPEZZATI Rossellinian even in its title, Almodovar's cinema has undoubtedly changed. For the better, for the humanity of a personal insight that feels authentic and suffered, for a tender existential reflection that has certainly become more universal and shareable. But not always, if in the slight laboriousness of an ambitious screenplay the suspicion of self-reference surfaces, or the delightful complacency that serves the director to relate cinema to life, desire and passion to the reality of everyday life. Passion, always her, for the vibration of the present moment: which sometimes threatens to harm the balance of the narrative (the beautifully mannered predominance of the whole part addressed to the past), the distribution of psychological attention on all the characters, a real dramaturgical tension.


Better then, in order not to spoil the pleasure, to indulge in that precious and increasingly skillful mechanics (sets, lights and colors, costumes and music conducted to a perfection almost made of counterpoints between cinema and life, between characters who in that sense are mirrored and doubled, in the sea of chromatic suggestions, of the incessant recourse to the mythical ingredients of the noir melodramas of Sirk, Preminger, Minnelli or Hitchcock: love and death, sexuality and infirmity, desire and revulsion. Perhaps daring to admire and not always adhere, exalt and not quite move.

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