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di Bela Tarr, con Miroslav Krobot, Tilda Swinton, Ági Szirtes, János Derzsi, Erika Bok
(Ungheria, 2007)
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Tarr rifà Simenon. A suo modo, ovviamente; che è da prendere o lasciare. Ci si avvia per un cammino lungo, affascinante; o insopportabile. Da un infinito, sbalorditivo piano sequenza: in un bianco e nero lattiginoso dove le sciabolate delle poche sorgenti luminose squarciano la grana della pellicola, con il guardiano di un porto immerso fra buio e nebbia assiste ad un omicidio misterioso. L'inchiesta che segue non ha nulla a che fare con quelle alle quali siamo abituati: più che un viaggio nella conoscenza dei fatti, della ricerca delle ragioni materiali, si tratta di un itinerario in un mondo dalle forme maestose e suggestive. Sontuosamente sottolineate, a seconda delle sensibilità, compiaciute. E' fra i romanzi più cupi dei Simenon, e non desta meraviglia che il tenebroso ungherese l'abbia subito addotatto. Film dalla gestazione ovviamente laboriosa (il compianto e illuminato Hubert Balsam ne aveva dovuto interrompere la riprese nel 2005; e c'è da chiedersi se la sua scomparsa non sia fra le ragioni dell'abbandono nel quale è finito il film) ) come tutti gli altri dell'autore THE MAN FROM LONDON è un film sul rifiuto. Nei confronti delle varie leggi che reggono lo spettacolo cinematografico: prima fra tutte, quella dei suoi tempi. I piani sequenza di Tarr sono composti con una sapienza figurativa maniacale, iniziano e terminano con una precisione millimetrica, non un solo centimetro quadrato delle sue inquadrature sembra lasciato al caso. Affascinanti nella loro eleganza crepuscolare, talora sconsolanti in una loro sconfinata ricercatezza. Che arrischia di costituirne la sola motivazione, nella quale è difficile non perdersi.
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Film dello stesso regista |
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